Capitolo 540: Nimium altercando veritas amittitur.

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"Non vedo che altro ti trattenga qui, allora." aveva detto Caterina, con astio, dopo l'ennesima stoccata gratuita di Chiara: "Se tu e tuo marito avete davvero sistemato tutto, tornatene da lui e dai tuoi figli. Avrai i soldi di nostro zio e ci scommetto che avrai presto anche i soldi del papa."

L'altra Sforza aveva abbandonato il libro che stava leggiucchiando e, fissando la sorella con aria scandalizzata, aveva ribattuto: "Non mi starai accusando di fare il doppio gioco!"

"Io so solo – aveva tagliato corto la Tigre, alzandosi dalla poltrona e stringendo al petto Giovannino con maggior forza, più per bloccare sul nascere le lacrime di agitazione che gli stavano bagnando gli occhi che non per altro – che tuo marito ha chiesto una condotta al papa e che il papa vuole le mie terre. So solo che in queste settimane hai imparato a conoscere questa rocca e hai visto e sentito anche troppo. So solo che mi sono tirata in casa una potenziale spia!"

"Sono tua sorella!" aveva cercato di recuperare Chiara.

"Ti prego, vattene appena ti sarà possibile." era stata l'ultima richiesta della Leonessa, mentre raggiungeva la porta.

Rabbiosa, aveva riportato il figlio più piccolo alle balie e poi, passando dalle cucine per prendere qualcosa da mangiare e da bere da portarsi in camera, aveva deciso di ritirarsi già per la notte.

Ciò che l'aveva adirata di più di quel breve colloquio era stata la certezza – le spie dell'Oliva che aveva infiltrato a Roma ne erano sicurissime – che Fregosino Fregoso avesse già accettato la condotta di Alessandro VI e fosse pronto per correre in aiuto dei francesi. Sapere quello che stava accadendo nell'Urbe le aveva permesso di smascherare Chiara, che, invece, aveva passato tutto il tempo a dire che non sapeva che cosa stesse facendo il marito, ma che, con buona probabilità, ricevendo i soldi del Moro, non avrebbe nemmeno provato ad avvicinarsi al pontefice.

E pensare che giusto il giorno prima si era prodigata per scrivere proprio a Ludovico una lettera accorata in cui prendeva le difese di Chiara, descrivendola come bisognosa di tutto quanto, anzi proprio 'deperata per mancarli il modo del vivere'. L'aveva fatto sperando di indurre lo zio ad accordarle un beneficio di una certa importanza, ma adesso ne era pentita.

Nel tragitto che la portò dalle cucine alla propria stanza, rimuginò su come muoversi e, arrivata alla porta, la voglia di ritrattare tutto con il Duca era svanita e il suo astio si era spostato su un altro fronte.

Aprendo, trovò Giovanni da Casale seduto alla sua scrivania, intento a vergare una lettera. L'uomo la salutò con un cenno del capo, ma andò avanti a scrivere come nulla fosse.

Caterina, allora, posò vino e cibo sul mobile e poi, senza pensarci troppo, gli disse: "Alzati, fammi spazio."

"Un attimo, sto scrivendo a..." prese a dire lui, ma la donna incombeva alle sue spalle, minacciosa.

"Ti ho detto di levarti di mezzo. Mi serve la scrivania." insistette lei.

"Ma..." provò in extremis Pirovano, ben sapendo che non l'avrebbe comunque avuta vinta.

"Questa è casa mia. È già tanto se ti lascio dormire nel mio letto." gli ricordò la Tigre, troppo nervosa e troppo stanca per perdere tempo a cercare di essere gentile: "Alzati e lasciami la scrivania."

"È un ordine?" domandò a quel punto il milanese, piccato.

"Sì, è un ordine." annuì la Contessa.

Con uno sbuffo, Giovanni prese i suoi fogli e, borbottando qualcosa tra sé, non solo lasciò la scrivania, ma addirittura la stanza.

"Non disturbarti a tornare, stanotte, se ti dà così fastidio ubbidire a chi ti paga il salario!" gli gridò dietro Caterina, pur sperando che quella frecciata, che proprio non era riuscita a trattenere, cadesse inascoltata.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora