Tornielli stava ancora aspettando che il Consiglio deliberasse qualcosa. Stava imbrunendo e dal salone del palazzo dei Riario non erano arrivate novità.
Così il Capo dei Magistrati aveva deciso di approfittarne per proseguire con un altro compito che gli spettava e che aveva accantonato fino a quel momento. Fece chiamare al suo cospetto, in una zona differente del palazzo, il rappresentante degli ebrei della città e gli ordinò di far restituire dalla sua gente tutti i pegni dei cittadini.
"O con denaro alla mano – specificò, quando l'ebreo che gli stava davanti iniziò ad assumere un'espressione contrariata – o con una cauzione fino alla raccolta."
L'altro tentò di aggirare la questione, di promettere tassi agevolati per futuri prestiti, di richiamare al buon cuore della Contessa che 'mai e poi mai' avrebbe permesso un simile sfacelo per gli ebrei di Forlì.
Tornielli, però, era pronto a ribattere a tono: "La vostra Comunità ha firmato degli accordi molto precisi, anni fa, e questo è uno dei casi che rientra in quegli accordi. In caso di guerra e rischio di saccheggio, siete obbligati a restituire ogni pegno, o per suo riacquisto, o anche solo con una cauzione. Senza contare che, almeno così, recupererete qualcosa. Mentre se aspetterete che siano i francesi a svuotare i vostri magazzini, perderete tutto quanto."
L'uomo che gli stava davanti schiuse un paio di volte le labbra, ma non disse nulla. Avrebbe voluto chiedere che sarebbe successo a tutti loro, nel caso in cui si fossero opposti, ma la risposta era così ovvia, che preferì evitare l'umiliazione di vedersela sbattere in faccia.
"Va bene, va bene... Provvederemo subito." concluse, incupendosi e andando subito verso la porta.
Il Capo dei Magistrati avrebbe voluto qualche garanzia in più, ma, prima che potesse fare o dire qualcosa, Alessandro Sforza entrò nella saletta.
"Il Consiglio non ha trovato un accordo, e quando mia sorella tornerà, io dovrò darle la risposta della città." disse il milanese, fissando con rabbia Nicolò, come se ne avesse colpa.
Tornielli sollevò un po' le braccia e si schermì: "Capisco la vostra agitazione, ma..."
"Che diamine!" sbottò lo Sforza, ricordando in modo impressionante la sorella, in quello scatto di rabbia: "Siete il Capo dei Magistrati! Forzate il Consiglio!"
"L'unica cosa che posso fare – fece a voce bassa il forlivese, sperando di non essersi appena infilato in un guaio ancora peggiore – è convocare un Consiglio dei Quaranta, con obbligo di risoluzione."
"Fate quello che vi pare." tagliò corto Alessandro: "L'importante è che entro sera io sappia cosa riferire alla Contessa."
Nicolò abbassò il capo, in segno di sincera prostrazione: "Farò tutto quello che posso."
"Fatelo, Tornielli." intimò lo Sforza: "Fatelo in fretta, però."
Alessandro VI stava ancora ripensando all'ultima lettera di suo figlio Cesare, che lo aizzava in modo plateale contro Firenze, spiegandogli con parole molto decise come la Repubblica stesse solo fingendo di contribuire al loro sforzo bellico.
Cesare gli faceva presente che dalla Toscana non erano arrivate né polvere da sparo né munizioni e che quella mancanza non era da imputarsi a un incidente o a un ritardo, ma bensì a un netto e chiarissimo rifiuto.
A mezza conferma di quello, erano arrivate da poco in Vaticano quelle che sembravano delle scuse ufficiali da parte di Firenze, con cui la città si difendeva prima ancora di ricevere un'accusa precisa, rendendosi ancor più colpevole, agli occhi del papa.
Non aveva ancora deciso come ribattere, ma di certo le lettere del figlio lo stavano facendo propendere per un'azione severa nei confronti di quelli che sostenevano a gran voce di essere loro fedelissimi alleati.
STAI LEGGENDO
Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...