Capitolo 648: Veni creator spiritus

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Leonardo si guardò alle spalle un'ultima volta. Non gli piaceva l'idea di andare a Mantova, ma non aveva trovato di meglio, e Milano, ormai, non era più un posto adatto a lui.

Anche se a volte aveva disprezzato il Moro, per il suo fare tracotante e il suo modo rozzo di condurre una corte tanto importante, rimpiangeva come non mai i pomeriggi passati nel cortile del palazzo di Porta Giovia a prendere appunti e fare schizzi, mentre osservava i gatti rincorrersi nella polvere sotto il sole d'agosto, o nella nebbia dell'inverno.

Stringendosi un po' nelle spalle, controllò con un'occhiataccia che tutti i suoi bagagli fossero ben al sicuro sul carretto e poi si chiese se frate Pacioli l'avrebbe raggiunto a breve. Non avevano trovato un accordo per partire assieme, ma il toscano aveva quasi sperato di avere un compagno così stimolante per quel triste viaggio. Erano amici, a entrambi piaceva confrontarsi sui temi più disparati, e dunque si sarebbero divertiti molto, lungo la via.

Colui che fino a pochi mesi prima era stato il Domine Magister della corte ducale fece un lunghissimo sospiro e si impose di non voltarsi più verso le mura che cingevano Milano.

Quella mattina, mentre finiva di fare i bagagli, aveva scritto una lettera che aveva rimandato fino all'ultimo minuto. Era un ordine importante, destinato all'Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze.

Chiedeva che i suoi possedimenti in Toscana – di fatto seicento fiorini d'oro – venissero presi e custoditi presso i locali interni dell'Ospedale. Non sapeva nemmeno se quei soldi c'erano ancora, ma confidava ugualmente di ritrovarli, il giorno in cui fosse riuscito a tornare a Firenze sano e salvo.

Con una stretta al cuore, nel ripensare alle strade brulicanti e al profilo altero e dolce della sua terra, Leonardo si trovò a rimuginare sull'offerta di Isabella Este. Sapeva che l'aveva voluto a Mantova solo per due motivi. Il primo: rivaleggiare con tutti gli altri potenti d'Italia, sbandierandolo come una grande conquista. Mentre il secondo era rimpiazzare un Mantegna ormai stanco e allergico ai ritratti.

"Come se fosse certa che io le farò davvero un ritratto..." borbottò tra sé Leonardo, che ancora ricordava il viso della Marchesa e non sapeva come avrebbe fatto a renderla meno antipatica almeno sulla tela.

"Che state dicendo, amico mio? Parlate da solo?" la voce di Pacioli fece rinsavire il vinciano, che, felice di vedere come l'amico, alla fine, l'avesse raggiunto sulla strada, si voltò di scatto, perdendo quasi l'equilibrio già precario con cui si reggeva sul carretto.

"Anche voi venite a Mantova, alla fine?" gli chiese, con gli occhi azzurri che brillavano di speranza.

"Se si vuol mangiare – sbuffò il biturgense, affiancandolo in sella al suo cavallo – si va anche a Mantova, anche se avrei preferito tornarmene a Sansepolcro!"

Leonardo rise, trovando di colpo anche il cielo grigio piacevole, e poi esclamò: "Alla nostra età, io quasi cinquant'anni e voi quasi sessanta..."

Il frate sollevò una mano e, scuotendo il capo, concluse: "Si vive in tempi pazzi, amico mio, pazzi!"

Le campane suonavano a martello, assordando i forlivesi che stavano ancora ammassati in piazza, e, intanto, a palazzo Riario si stava già lavorando per riorganizzare lo stato.

Luffo Numai, suo malgrado, era stato visto come l'iniziatore, nonché la vera anima di quella piccola rivoluzione, e gli altri nobili – sia per scansarsi di dosso la colpa di un'eventuale catastrofe, sia per mancanza di intraprendenza – avevano lasciato al Consigliere pressoché campo libero.

Nel frattempo, gli Anziani si erano radunati in uno degli altri saloni, discutendo i bandi d'ordine pubblico che andavano pubblicati quel giorno stesso, per evitare che tra i forlivesi scendesse il caos.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora