Capitolo 642: La breccia

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Aveva ricominciato a piovere presto, quella mattina. Caterina, che aveva dormito poco e male, aveva sentito cadere le prime gocce contro la finestra quando ancora faceva buio.

Era rimasta sola, quella notte. Non perché non avesse avuto occasione di avere compagnia, ma perché aveva deciso così. Fin dall'ora di cena, aveva sentito una profonda morsa allo stomaco e poi, passate le dieci di sera, era stata certa che sia Sforzino, sia Bernardino fossero ormai a casa Numai, lontani da lei, diretti verso una nuova vita.

Quando Vangelista era arrivato nella sua stanza, attorno a mezzanotte, lei gli aveva chiesto se era andato tutto bene. Egli, che aveva capito solo in parte l'importanza del suo compito, aveva annuito, assicurando di aver scortato Sforzino fino in Duomo e poi di averlo visto uscire dalla chiesa con una discrezione degna di un ladro.

La Tigre si era detta soddisfatta del suo operato, l'aveva ringraziato, aveva pregato tra sé che anche Bernardino avesse seguito le direttive impostegli, e poi si era fatta pensierosa. Quando il frate le si era avvicinato, con la chiara intenzione di fare esattamente quello che faceva con lei ogni volta in cui la Contessa lo chiamava nelle sue stanze, la donna rimase inizialmente fredda.

Non aveva risposto ai suoi baci, tanto meno aveva fatto scorrere le mani su di lui, come invece faceva di solito.

Anzi, quando il venticinquenne aveva preso l'iniziativa, cominciando ad armeggiare con le brache da uomo che indossava lei, la Leonessa si era ritratta in modo plateale e aveva detto: "No, stasera non ne ho voglia."

Monsignani aveva fatto un sorriso un po' stupito. Aveva provato a baciarla ancora una volta, ma, scontrandosi con una reazione degna di una pietra, aveva lasciato perdere.

Di indole docile, il giovane non aveva avuto né la voglia né il coraggio di provare a convincerla ad accettarlo anche quella notte. Aveva fatto un'espressione un po' imbarazzata e poi, a voce bassa, le aveva chiesto se volesse parlare con lui o anche confessarsi.

La Sforza aveva detto subito di no e gli aveva chiesto di lasciarla sola, perché aveva ancora della corrispondenza da sbrigare.

Così era rimasta sola, e, riuscendo a dormire ben poco e pure male, aveva tirato l'alba tra incubi e rimorsi, senza avere accanto un paio di braccia forti a cui aggrapparsi.

Quella mattina aveva convocato il suo Consiglio ristretto, per discutere della situazione di Imola e delle novità riguardanti gli spostamenti di Giannotto, mandato in avanscoperta dai francesi probabilmente in virtù di quello che aveva visto e sentito mentre era al servizio della Tigre, che veniva dato sempre più vicino a Forlì e, pronto a sferrare un attacco.

"Te l'avevo detto che non dovevi fidarti di lui." disse piano Giovanni da Casale, quando la riunione volse al termine e i Consiglieri cominciarono ad andarsene.

"Portava con sé molti uomini." si difese la Leonessa, che si era aspettata un attacco del genere da parte del suo amante, tanto che, all'inizio, aveva pensato di non mandarlo nemmeno a chiamare e lasciarlo alla cittadella: "Ho scritto a tutti i nobili di Romagna, a tutti i Duchi, i Conti e i Marchesi che non si erano apertamente schierati coi francesi... E non mi hanno nemmeno risposto. Lui mi offriva uomini e armi. Avrei dovuto rifiutare?"

"Avresti dovuto ragionarci di più." la bacchettò Pirovano, guardando con insofferenza verso Galeazzo che aspettava la madre a breve distanza da loro.

"Ho sbagliato a fidarmi." ammise la donna, senza guardarlo: "Ma non essere troppo duro nei giudizi. Al mio posto, forse, avresti fatto lo stesso errore."

Il milanese non sembrava d'accordo, ma, per non esacerbare lo scontro, decise di lasciar perdere e salutò la Contessa con un semplice: "Ci vediamo più tardi?"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora