Capitolo 519: Bene qui latulit, bene vixit.

116 18 0
                                    

"Scusatemi tanto, ma non credo che ci sia molto di cui discutere..." fece Simone Ridolfi, allargando le braccia e guardando tutti, in particolar modo la Contessa, con un'espressione quasi divertita: "Mi pare ovvio che Achille Tiberti sia un traditore."

"In effetti avrebbe dovuto avvertire voi, prima di partire per Roma..." soppesò Dionigi Naldi, rivolgendosi alla Tigre.

"Prima di tutto – intervenne a quel punto la donna, appoggiandosi al tavolo delle mappe e incrociando le braccia sul petto – siamo davvero sicuri che sia partito proprio per Roma e non, magari, per andare da qualche parente a Cesena? Secondariamente, se anche fosse andato in Vaticano, siamo certi che là debba incontrare il papa?"

Mongardini sollevò le spalle, e, come lui, lo fecero anche altri tra i presenti, ma solo lui osò dire qualcosa in merito: "Ancora non mi capacito, però, mia signora, di come riusciate ancora a pensar bene di lui."

Caterina non ribatté, mettendosi a controllare la mappa d'Italia, domandandosi dove altro potesse essere andato Tiberti o chi, se fosse davvero partito per Roma, avesse potuto incontrare oltre al papa.

"Comunque – prese a dire l'Oliva, visto che il silenzio nella Sala della Guerra cominciava a farsi un po' pesante – non appena ho saputo che Tiberti ha lasciato la città, l'ho fatto seguire per un tratto e in effetti ha seguito la strada che porta a Roma."

"Forse dovremmo mandare qualcuno sulle sue tracce e scoprire chi sta andando a incontrare e perché..." provò a proporre Ridolfi, poco convinto.

"Aspetteremo il suo ritorno e basta." concluse la Sforza, stanca di tutte quelle congetture che, lo sapeva benissimo, non avrebbero portato a nulla.

Se aveva sempre cercato di non urtarsi con Achille era stato solo perché era un uomo ancora molto influente a Cesena e, con tutti i problemi che aveva lei, degli screzi con Cesena erano proprio un inconveniente che non voleva rischiare.

"E se stesse dando informazioni ai Borja?" chiese il Capitano Rossetti, un braccio lungo il fianco e l'altro che indicava Roma sulla mappa: "Il figlio del papa è in Francia, questo lo sappiamo tutti, e il papa, con le sue bolle, ci ha praticamente dichiarato guerra. Chi ci dice che Tiberti non stia facendo il doppio gioco e ci stia vendendo ai Borja?"

"E che possiamo fare, se non aspettare e scoprirlo?" intervenne Luffo Numai, cercando di andare in soccorso alla Tigre, che, seppur evidentemente infastidita dal tono accusatorio del Capitano: "Forse dovremmo bandirlo alla cieca? Così, se poi fosse innocente, avremmo perso un ottimo condottiero e il favore di Cesena..."

"Proprio non capisco come facciate a perdere tanto tempo dietro a un uomo che vi ha già tradita così tante volte!" sbottò Rossetti, rivolgendosi direttamente alla Contessa: "Come mai lo fate? È uno dei vostri amanti?"

Nel sentirsi rivolgere quella stoccata – che sottintendeva molto di più di quel che sembrava – la donna si voltò di scatto verso il Capitano.

Nel farlo, intravide suo figlio Galeazzo, che se n'era rimasto per tutta la riunione tranquillo nel suo angolo, ma che in quel momento la stava osservando con il fiato sospeso, sia per vedere la sua reazione, sia per capire se vi fosse qualcosa di vero.

"Rossetti, prendetevi qualche ora di riposo. Cesare – soggiunse, rivolgendosi al castellano – il Capitano ha la notte libera e anche la mattinata di domani."

Il Feo annuì e poi, come tutti gli altri presenti, si mise a osservare Rossetti, che, imporporandosi, si rese conto solo in quel momento di aver osato troppo. Non era il primo che cadeva in un simile errore. Anche altri, credendosi collaboratori stretti della Leonessa, avevano azzardato con lei troppa confidenza nel parlare, e lui adesso si era trovato a compiere il medesimo errore senza averne coscienza.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora