Bartolomeo sperava di arrivare alla fine di quella notte infernale. Non c'era ancora stato tempo di fermarsi un attimo, ma a spanne dovevano aver perso un'ottantina di lance e i fiorentini continuavano a inseguirli.
L'Alviano, senza esitazioni, aveva deciso di guidare i suoi verso i monti della Vernia, ma con quel buio e quel clima nefasto, temeva di perdere altri soldati per il gelo, più che per l'attacco del nemico.
"Ci dovremo asserragliare a Montalone – disse Carlo Orsini, il labbro un po' gonfio per un colpo preso mentre cercavano di tenere la difesa, prima di dichiarare la ritirata – da lì potremmo impedire loro di avanzare ancora."
Lo zio annuì, secco, sconfortato dalla prospettiva di essere visto come il perdente. Si era sentito sminuito, nel vedersi attaccare all'ora del pasto proprio alla Vigilia di Natale e passare quella notte in fuga lo faceva sentire indegno del nome che portava.
Sapeva che era un atteggiamento sciocco, il suo, ma non poteva evitare di vergognarsi, per essere stato preso così alla sprovvista e, ancor di più, per il fatto che il nemico si era atteso di trovarlo impreparato.
"Ce la caveremo." gli disse Carlo, con un colpetto sulla spalla, a mo' di incoraggiamento.
Bartolomeo non rispose, lanciando tacitamento un occhio alla colonna dei suoi uomini, che avanzava lenta e troppo scoordinata. Se i fiorentini avessero davvero voluto distruggerli, sarebbe bastato loro usare la cavalleria e riprenderli.
"Ci taglieranno i rifornimenti e faremo la fame." disse, la lingua che faticava a seguire la velocità delle sue parole: "Avrei preferito morire per un colpo di spada a Marzano."
L'Orsini non ribatté in alcun modo. Anzi, dopo un momento di silenzio, gli fece un cenno, a metà strada tra il saluto e l'assenso, e andò a incitare i loro soldati, soprattutto quelli che erano rimasti feriti nello scontro del giorno prima, nella speranza di farli camminare più rapidi.
"Sei una donna bellissima." quelle parole le riecheggiarono nel petto come un colpo di cannone.
La voce del giovane soldato stava scacciando del tutto quella di Manfredi, che l'aveva chiamata ragazzina. Sentirsi appellare 'donna' a quel modo sulla Riario ebbe un effetto ancora più potente di quanto il ragazzo avrebbe mai potuto immaginare.
Usciti dal salone, erano andati verso le scale. Il giovane aveva morbide labbra carnose e il naso dritto. Capelli curati e di un castano caldo, occhi svegli e una voce profonda che sembrava in grado, da sola, di scaldare quella notte di gelo.
Bianca voleva portarlo nella sua camera, e anche in fretta, per evitare di essere vista da qualcuno, ma quando erano arrivati al pianerottolo, lui l'aveva fermata e avevano cominciato a baciarsi.
C'era buio e silenzio, eccezion fatta per i suoni che giungevano ancora dalla sala dei banchetti.
Dapprima le loro labbra si erano sfiorate e cercate in un modo che Bianca già conosceva bene. Con alterne vicende, aveva già avuto sottomano qualche ragazzo con cui scambiare quel genere di effusioni e sapeva come gestirle. Poi, però, il soldato aveva cominciato a baciarla in modo molto diverso, più profondo e deciso, fino a spingerla contro il muro, per riuscire a far aderire meglio i loro corpi che, anche se coperti dai pensati abiti invernali, fremevano nell'avvicinarsi a quel modo.
"Sei la donna più bella che io abbia mai visto." ribadì lui, smettendo per un attimo di baciarla, in modo da poterla guardare negli occhi.
Le iridi blu della Riario erano quasi nere, in quella luce fioca, e il suo respiro caldo sollevava un po' di vapore, che si mescolava a quello che usciva dalle narici e dalle labbra del ragazzo.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...