Capitolo 493: Potenti irasci sibi periculum est quaerere.

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Quella mattina da cielo scendeva una sottile patina gelata, come se i fiocchi di neve si fossero fatti tanto sottili da sembrare solo scaglie di ghiaccio.

Caterina si era svegliata presto e di pessimo umore. Quella notte, più per placare la rabbia che non la voleva lasciare che per altro, aveva cercato la compagnia di un soldato e, come ormai faceva sistematicamente, dopo averlo avuto, l'aveva cacciato dalle sue stanze a notte inoltrata, restando sola con i suoi fantasmi.

Aveva passato le poche ore di sonno che si era concessa immersa nei suoi consueti incubi e così, quando aveva finalmente deciso di lasciare il letto e far cominciare una nuova giornata, l'aveva fatto con un forte cerchio alla testa e la schiena a pezzi.

Era scesa nella sala dei banchetti, che a quell'ora era quasi deserta, e si era messa al suo solito posto. Aveva preso un po' di carne – come previsto, lo stufato fatto con il cervo cacciato da Galeazzo era durato giorni e non ne erano rimasti che pochi avanzi da usare per colazione – e del pane, assieme a un bicchiere di vino.

Distratta e ancora immersa nella sensazione sgradevole che le aveva lasciato il suo ultimo brutto sogno – durante il quale aveva rivissuto, dopo tanto tempo, la morte di Giacomo, colpito tante di quelle volte dall'essere ridotto a qualche lacero brandello di carne – la donna addentò un po' di pane, facendovi subito seguire un pezzo di stufato e il vino.

Masticò senza pensarci, ma poi, dopo aver deglutito, qualcosa la fece corrucciare. Assaggiò di nuovo il pane e si rese conto di non essersi sbagliata.

Aggrottando la fronte, afferrò un'altra pagnotta e, assicuratasi che non ci fosse alcuna differenza, inghiottì ancora qualche pezzetto di carne, finì il calice e lasciò la sala, diretta alle cucine.

"Questo pane è senza sale." disse, non appena trovò la cuoca.

La donna, sola con una delle sguattere, stava già cominciando a preparare il necessario per il pranzo e per la cena e vedersi arrivare d'improvviso la Contessa nelle cucine la fece quasi saltare sul posto.

"Come dire, mia signora?" domandò, non avendo colto al primo colpo ciò che la Sforza le aveva detto.

La Tigre le porse il pezzo di pane e ribadì: "È sciapo. Del tutto senza sale."

Solo a quel punto la cuoca comprese. Schiudendo le labbra, sotto lo sguardo un po' preoccupato della sguattera, prese dalle mani della Leonessa il cibo incriminato e annuì.

"Come mai?" chiese allora Caterina, che non aveva mai e poi mai autorizzato a lesinare sul sale in cucina.

"Ebbene, mia signora, noi credevamo che foste d'accordo..." prese a dire la cuoca, posando il pane sul tavolo e stringendosi le mani un po' rovinate l'una nell'altra: "Il Governatore, messer Ridolfi, ci ha detto di risparmiare sul sale, perché le riserve della città sono molto scarse. Noi gli abbiamo chiesto come avremmo dovuto fare di preciso e lui ci ha consigliato di non metterlo nel pane."

"Il Governatore ha detto che salare il pane è l'ultimo dei nostri problemi." si intromise la sguattera, tacendo all'istante, non appena la sua capa l'ebbe guardata in tralice.

"Perdonatela..." fece la cuoca, con un sorriso imbarazzato: "Sapete, è giovane e non ha ancora imparato a tenere a freno la lingua..."

"Non importa." minimizzò la Sforza, che aveva ben altri pensieri, che non una serva dalla parola troppo sciolta: "Quello che mi interessa è sapere quando il Governatore ha dato un simile ordine."

Prima che qualcuno potesse dire qualcosa, dalla porta arrivò Sforzino. Quando si accorse della madre, fu tentato di scappare via, ma la sguattera gli fece segno di avvicinarsi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora