C544Bisogna adunque esser volpe a cognoscere i lacci,e lione a sbigottire i lupi

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Caterina e Bernardino arrivarono alla rocca poco prima che imbrunisse, quando il sole si avvicinava all'orizzonte, gettando sulla città ombre lunghe e una luce quasi innaturale.

Passando sotto la statua di Giacomo, la Sforza non sollevò nemmeno lo sguardo, troppo abituata a ignorare quell'effige ogni qualvolta vi passasse accanto per evitarsi altra sofferenza, mentre il figlio continuò, per tutto il tragitto dal monumento al ponte, a guardare il viso del padre modellato nel bronzo. Anche se aveva ancora ricordi vividi del calore che il genitore gli aveva dato, nella sua memoria il suo aspetto cominciava a sfumare e, senza poter far nulla per evitarlo, poco per volta le riminiscenze dell'infanzia venivano sostituite dalle fattezze di quella statua.

Il piccolo Feo aveva sentito tanti dire che quel bronzo non rendeva giustizia alla bellezza di suo padre, ma era l'unica testimonianza che aveva di lui, eccezion fatta per il ritratto – a detta di tutti ancor meno somigliante – che stava dipinto sul muro della cappella di famiglia in San Girolamo.

"Portate la carne nelle cucine." ordinò la Contessa, non appena furono nella rocca, e poi, rivolgendosi al figlio e vedendolo stravolto per la lunga giornata e la faticosa camminata, nonché ancora sporco del sangue del cervo, gli disse: "E tu vai a farti un bagno. Ti faccio portare da magiare qualcosa e poi subito a dormire. Intesi?"

Il bambino abbassò lo sguardo, annuendo, poco convinto. A lui, malgrado tutto, la giornata non sembrava ancora finita e avrebbe voluto andare a mangiare nella sala dei banchetti come sempre e vantarsi con Galeazzo della battuta di caccia a cui aveva preso parte e poi, finito di mangiare, andare dai suoi amici della servitù e fare altrettanto.

"Non ti reggi più in piedi." insistette la madre, intuendo i pensieri del figlio.

Il modo in cui, mentre gli rivolgeva quelle poche parole, gli aveva accarezzato la guancia, fu ciò che fece breccia in Bernardino, che, scaldato da quel gesto, accettò: "Va bene, madre." poi, non riuscendo a trattenersi, soggiunse: "Ma il bagno no..."

"Il bagno sì." lo rimbrottò Caterina, con un buffetto sul mento: "Darò subito ordine di fartelo preparare. Sei coperto di sangue e polvere, ti sei sporcato più che se fossi sceso in battaglia... Non puoi andare a dormire conciato così."

Il Feo strinse le labbra e poi, con l'eco di un sorriso negli occhi, convenne: "Come volete, madre."

Congedato il figlio, la Tigre andò prima da un servo per ordinare il bagno e il cibo per Bernardino e poi dal castellano, per sapere come fosse andata la giornata, mentre lei era nei boschi, e Cesare le riferì che non c'erano stati problemi, che Giovanni da Casale aveva supplito degnamente la sua assenza e che non erano arrivate lettere né altra cosa degna di nota.

"Solo l'ambasciatore fiorentino..." fece il Feo, con un'espressione un po' seccata: "Ecco, da stamattina ha mandato quattro volte un messo a chiedere se eravate pronta a riceverlo."

Caterina sbuffò e, guardandosi distrattamente le mani ancora un po' macchiate di rosso e sentendosi addosso l'odore di una giornata passata a cacciare, decise repentinamente: "Fatemi preparare un bagno. Quando sarò pronta, manderete un messaggero a questo ambasciatore fiorentino che ha tanta fretta di vedermi e lo incontrerò. A palazzo, però. Non voglio che entri in questa rocca. Ha già visto abbastanza."

"Sicura di stare bene?" chiese Jacopo Salviati alla moglie, mentre la donna si posava una mano sul pancione con una smorfia di dolore.

"Sì, non è niente. Non ci siamo ancora, stai tranquillo." lo zittì lei.

L'uomo sospirò, guardandola di soppiatto. Lucrezia aveva quasi ventinove anni, ma quella sera gli sembrava una bambina. E lui, che di anni ne aveva quasi trentotto, si sentiva ancora più piccolo di lei.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora