Capitolo 616: Non vi sarà altra regola che la vostra proposta.

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Ottaviano non era riuscito a chiudere occhio e, mentre finiva di indossare la corazzina che gli era stata caldamente consigliata da Luffo Numai, chiese al soldato che lo stava aiutando: "Lo sapete che mia madre al momento non è in città?"

L'uomo scosse la testa, continuando a stringere i lacci di cuoio del suo signore.

"Non sappiamo quando tornerà – riprese il Riario, benché gli fosse stato ripetuto più e più volte di non parlarne con nessuno – e, durante la sua assenza, ha deciso che sarà mio fratello Galeazzo a sostituirla."

Siccome il soldato non commentava, Ottaviano, già teso di per sé e molto infastidito dallo scrosciare della pioggia, che sembrava aver deciso di incattivirsi proprio in corrispondenza della sua prevista partenza, fece uno sbuffo.

Pur a mezza bocca, arrivò a chiedere apertamente: "Cosa ne pensate?"

"Del fatto che abbia lasciato momentaneamente il comando in mano di vostro fratello?" domandò, pleonastico, il giovane che, ormai, aveva finito il suo lavoro: "Ebbene, anche se messer Galeazzo è molto giovane, tutti noi lo conosciamo e lo stimiamo. È bravo con le armi, intelligente e giusto. Lo seguiremmo ovunque, anche se vostra madre dovesse non tornare."

Il Riario, che non aveva affatto ricevuto la risposta sperata, si scansò di malagrazia, fissando con occhi di fuoco l'altro e sbottò: "Ma mio fratello è un bambino! Vi rendete conto che mia madre ha lasciato lo Stato nelle mani di un bambino?!"

"E nelle mani di chi altri avrebbe dovuto lasciarlo?" chiese il soldato, sollevando ironico le sopracciglia: "Nelle vostre?"

L'ilarità del suo intervento era così tangibile che Ottaviano fu sul punto di mettersi a gridare all'insubordinazione, ma tutta la sua furia si spense quando vide entrare in stanza il Capitano Rossetti, che faceva parte della scorta armata che lo avrebbe accompagnato fino a Imola.

"Sarà meglio andare..." disse il forlivese, guardando il figlio della Tigre dall'alto in basso: "Avete preso tutto quello che vi serve? Anche il discorso che vostra madre ha scritto per voi?"

Il Riario avrebbe voluto dire che non ci sarebbe stato alcun bisogno, da parte della Contessa, di scrivergli cosa dovesse ordinare agli imolesi, tuttavia il suono sordo di un tuono affogò definitivamente ogni sua velleità di ribellione: "Sì, ho tutto." disse solo.

Seguendo Rossetti come se lo stesse portando al patibolo, il ventenne raggiunse il cortiletto, dove il suo cavallo lo stava già aspettando, sotto la pioggia, immerso in un'oscurità che sapeva più di notte fonda che non di primissimo mattino.

Montando in sella con una certa fatica, Ottaviano si strinse nelle spalle, coprendosi la testa con il cappuccio e si guardò alle spalle. Aveva sperato fino all'ultimo che qualcuno, magari sua sorella, arrivasse a salutarlo.

L'unico sguardo che si sentì puntato addosso, però, fu quello di Luffo Numai che, appollaiato a una delle finestre, lo teneva d'occhio al solo scopo di assicurarsi che non si dileguasse, vinto dalla propria codardia, facendo fallire sul nascere quella spedizione.

Affranto non solo per la consapevolezza di essere visto da tutti come un fallito, ma, soprattutto, dalla sensazione di esserlo per davvero, il giovane Riario tornò a guardare davanti a sé e, aspettando che fosse Rossetti a dare l'ordine finale, diede di speroni al suo cavallo e uscì lentamente dal portone della rocca.

Avvolta nel mantello con cappuccio che aveva recuperato la sera prima alla locanda, Caterina avanzava lentamente lungo la salita che portava a San Benedetto in Alpe. Il terreno, impregnato di pioggia chissà da quanti giorni, cedeva un po' sotto gli zoccoli del suo stallone nero, ma la donna non aveva intenzione di fermarsi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora