Capitolo 456: Sigismondo

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La stanza in cui Pandolfo stava aspettando era troppo silenziosa, per essere così affollata. Era come se tutti gli abitanti del palazzo, dal cancelliere all'ultima sguattera di cucina, si fossero radunati in quel piccolo ambiente al solo scopo di starsene zitti e in attesa.

L'unico suono udibile era il grido spezzato di Violante. Non era un ululato continuo, come il marito si era atteso. Erano piccoli urli di dolore, a intervalli abbastanza ampi, come se la donna stesse cercando anche lei di disturbare il meno possibile.

Il Malatesta si sentiva quasi impazzire dalla tensione. Si era detto che non gli importava di quel figlio, che tanto sua moglie lo odiava e che, comunque fosse andata, lui era un uomo e certe cose non lo dovevano sfiorare. Se il piccolo fosse morto o, peggio, fosse stata una femmina, avrebbe solo dovuto aspettare qualche giorno e poi avrebbe potuto cercare di mettere di nuovo incinta Violante, senza troppi scrupoli. Tanto lo odiava già, sia che lui fosse con lei duro e violento, sia che si mostrasse più malleabile e comprensivo.

La presenza di tante persone, i loro respiri pesanti, i loro abiti pregni di qualsiasi genere di tanfo e l'aria chiusa, gli stavano dando la nausea.

Avrebbe voluto volentieri alzarsi e andare ad aprire la finestra, ma non voleva che tutti lo guardassero, chiedendosi il perché del suo gesto.

Fuori da lì, Rimini era battuta da una spessa pioggia mista a neve e Pandolfo si scoprì intento a pensare che sarebbe stato meglio là, in mezzo alle intemperie, a tirare di spada contro i fiorentini, che non chiuso in quel salotto, a pregare per un figlio che non sapeva nemmeno se sarebbe nato.

Allentandosi un po' il colletto del giubbone, le dita infilate tra le lattughine, per forzare un po' anche quello della camicia, il Malatesta quasi non si accorse che, nella siepe di taciturni spettatori, si era fatta largo una delle ragazze che stavano aiutando la nutrice.

"Mio signore! Mio signore!" chiamò al giovane, cercandolo.

Un po' intontito, sia per la lunga attesa, sia per il caldo che lo stava facendo sudare copiosamente, l'uomo si alzò dall'ottomana su cui si era spalmato nell'attesa e chiese: "Che c'è? Che è accaduto?"

"Vostro figlio è nato!" esclamò la giovane, tenendo le mani sporche di sangue in grembo: "Sta bene e la levatrice dice che potete venire a conoscerlo."

"Dunque è maschio?" chiese il Malatesta, raggiungendo la porta a suon di spintoni.

Mentre la ragazza riconfermava la notizia, nel salone qualcuno si permise di esprimere il proprio sollievo e qualcun altro fece le proprie congratulazioni a Pandolfo, che, però, era già andato nella stanza della moglie.

"Hai visto? Ti ho fatto un maschio." la voce di Violante era poco più che un sussurro roco.

Il Malatesta, che si era avvicinato alla culla imbottita di pizzi in cui era stato messo suo figlio, non l'aveva nemmeno guardata. Sollevò gli occhi su di lei solo nel sentirla parlare e, anche in quel caso, la intravide e basta, tra i lunghi capelli neri che erano scesi a coprirgli il volto.

"Si chiamerà Sigismondo." decise l'uomo, facendo un cenno alla nutrice – una ragazzetta arrivata a palazzo solo quel giorno – affinché prendesse il piccolo: "Portatelo di là, affinché lo vedano tutti, e poi badate a lui. Adesso devo parlare con mia moglie."

Violante, dal letto, osservò con un misto di apprensione e rabbia il figlio appena nato che veniva portato via e poi, quando il marito ebbe fatto uscire tutte le donne presenti, ritrovò il coraggio di parlargli: "Adesso che ti ho dato quel che volevi, mi lascerai in pace."

"Corri troppo." disse lui, a voce bassa.

Si sedette sul materasso, incurante del sangue che ancora impregnava il lenzuolo. In fondo era un soldato, avvezzo come non mai alla vista e all'odore del sangue. Molte volte, dopo una battaglia, si era trovato coperto di sangue fino alla punta dei capelli...

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora