Capitolo 562: Doti diplomatiche

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Il sole era appena sorto all'orizzonte e Giovanni da Casale fu sollevato nel vedere che le porte di Firenze erano aperte e già abbastanza trafficate.

Si toccò il petto, sentendo la presenza rassicurante della lettera di presentazione scritta da Caterina e dei documenti che gli avrebbero permesso di presentarsi davanti alla Signoria a portare le ragioni della Tigre.

"Avanti." disse piano ai suoi uomini di scorta e, dando un colpetto ai fianchi del cavallo con i tacchi, accelerò appena l'andatura.

Erano stati molto più lenti del previsto, ma non per colpa loro. Il caldo torrido aveva rallentato le loro cavalcature e la prudenza aveva rallentato loro. Ogni volta che vedevano per la via un viso sinistro o una combriccola di uomini dall'aspetto difficile da decifrare, si erano fermati, avevano aspettato e discusso. La memoria di quanto capitato a Ottaviano Manfredi era troppo fresca, per essere tranquilli.

Anche se Caterina aveva chiesto loro di essere veloci, non avevano potuto governare in modo abbastanza ferreo le loro paure, tanto meno la sete e la stanchezza dei cavalli.

Malgrado tutte le interruzioni, comunque, erano arrivati a Firenze sani e salvi e, quando giunsero a varcare le porte e vennero controllati i loro documenti, Pirovano si sentì autorizzato a tirare un sospiro di sollievo.

Con lo sguardo di tanti curiosi puntato addosso, il milanese e i soldati – debitamente disarmati per l'ingresso in città – che lo seguivano attraversarono qualche strada senza sapere dove recarsi di preciso.

"Volete andare subito alla Signoria?" chiese uno degli uomini della scorta.

"No, no... Prima cerchiamo una sistemazione e poi devo fare una cosa. Siamo appena arrivati, per gli affari c'è tempo." rispose Giovanni, dando poi voce a un passante, chiedendogli dove potessero trovare una locanda che potesse dare alloggio a tutti loro.

Non erano in tanti, ma dovettero comunque dividersi. Pirovano preferì per sé un'osteria con poche camere, non troppo lontana dal palazzo della Signoria, o almeno così aveva giurato il proprietario, e lasciò che i suoi si trovassero da dormire in un paio di locande vicine.

Sistemò con attenzione i suoi pochi bagagli, bevve un po' dell'acqua che aveva chiesto di farsi portare, si cambiò il camicione, e poi, avendo cura sempre di portarsi appresso i suoi preziosissimi documenti, uscì.

"La strada per San Lorenzo?" chiese al locandiere, appena lo vide.

L'uomo gli spiegò in poche parole come arrivare a quella chiesa e poi scherzò: "Ma se volete andare a Messa è un po' tardi per la prima e un po' presto per la seconda!"

Giovanni da Casale, che sentiva ancora del tutto estraneo l'accento del posto, non trovò la cosa divertente. Anzi, per certi versi l'ilarità del suo interlocutore, lo incupì ancora di più.

"Almeno dovessi andare a Messa." commentò, a denti stretti e poi, con un saluto silenzioso, uscì per strada, diretto a San Lorenzo.

Mentre percorreva la via assolata, il milanese si trovò assorto nell'osservare gli uomini e le donne che incrociavano il suo cammino. Fece qualche doverosa differenza con la sua Milano per quanto riguardava la diversa moda nel vestire e di atteggiarsi, ma poi si trovò a ragionare su Forlì, e a quel punto il confronto fu ancora più spietato.

Si rese di essersi distratto troppo e di aver sbagliato strada quando sentì due mercanti discutere tra loro e, parlando di palazzo Medici, indicare un punto alle sue spalle. L'oste era stato chiaro: doveva girare a sinistra prima di imbattersi in quell'edificio.

Stringendo i denti e chiedendosi chi glielo stesse facendo fare, Pirovano voltò i tacchi e tentò di prestare maggior attenzione a dove stesse andando.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora