Capitolo 526: Sorelle

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L'insistente bussare alla porta, riuscì a strappare dal suo sonno agitato la Contessa che, passatasi una mano sul viso al fine di ricomporsi un po', chiese, a voce alta: "Che c'è?"

Da fuori, la voce del castellano spiegò: "Mia signora, c'è alla porta vostra sorella e chiede di poter entrare."

Colta alla sprovvista da quella risposta, la donna si alzò di scatto e andò alla porta, aprendola di scatto. Cesare Feo non poté evitare di darle una generosa occhiata, mentre la luce della candela che portava con sé ne illuminava le forme malamente celate da una leggerissima vestaglia da notte, però, quando ricominciò a parlare, distolse lo sguardo, arrossendo un po'.

"Dice che l'aspettavate, ma per il momento l'ho messa ad attendere all'ingresso, nel cortiletto, in attesa di vostre precise disposizioni." specificò il castellano.

La Tigre si accigliò. Aveva ancora la mente immersa nel tremendo incubo che l'aveva catturata poco prima, ed era anche sicura di aver di nuovo gridato nel sonno il nome di Ludovico Marcobelli, ma voleva riuscire a focalizzarsi sul presente.

Perché mai Chiara era arrivata lì nel cuore della notte? Stava davvero scappando da qualcosa che le imponeva di muoversi solo con il favore delle tenebre, oppure era stato un caso che arrivasse a Forlì così tardi?

"È da sola?" domandò la Sforza.

"Completamente sola, sì." confermò Cesare, che, in effetti, aveva trovato quel dettaglio molto strano.

"E come sta?" indagò ancora Caterina, rientrando, però, intanto in camera per vestirsi.

Il Feo si sentiva in forte disagio, nel vederla spogliarsi davanti a lui per cambiarsi, ma siccome non aveva avuto espresso ordine di aspettare fuori, rimase al suo posto, guardando altrove e continuando a parlare per attutire l'imbarazzo che provava: "Direi che sta bene... Aveva una gran fretta di entrare nella rocca, ma non dava l'impressione di essere in fuga... Insomma, è un po' agitata, ma non nel panico. Pare in salute e non è patita, quindi almeno per questo credo si possa stare tranquilli..."

Finito di prepararsi, la Contessa gli chiese di far preparare una stanza per Chiara e poi, da sola, andò al piano terra, diretta al cortiletto.

Riconobbe subito la sorella, benché fosse intabarrata in un mantello molto spesso e scuro, quasi eccessivo per il clima mite di quella nottata. Anche l'altra la riconobbe e si tolse il cappuccio, tendendo le braccia.

La Leonessa non si era aspettata un saluto tanto caloroso, soprattutto in memoria dello strano distacco che si era creato tra loro, l'ultima volta che si erano incontrate oltre dieci anni prima, ma quando si sentì stringere dall'abbraccio di Chiara, assaporò quel calore inatteso.

"Sei sola?" le chiese, in un soffio.

L'altra Sforza la stava osservando con attenzione. La trovava invecchiata, ma sempre bellissima, come la era stata la loro madre, anche se più terrena di lei. Se Lucrezia aveva sempre portato con sé un'aura nobiliare e quasi eterea, una grazia innata che non era mai stata intaccata da nulla, Caterina era più massiccia, più diretta nel modo di guardare e più imponente.

"Sono sola." sussurrò Chiara, gli occhi che si posavano sui capelli bianchi e un po' spettinati della sorella: "Ma i miei figli e mio marito sono al sicuro, non preoccuparti per loro."

"Posso sapere perché sei qui? Da che scappi? Cosa..." cominciò a dire la Tigre, ma l'altra sollevò una mano per darle un freno.

"Per favore, sono stanca. Sono due notti che non dormo. Posso andare a riposarmi?" la sua voce era più conciliante di quanto la Contessa ricordasse e anche i suoi modi erano un po' più dolci.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora