C.604:Sic deinde, quicumque alius transilient moenia mea, interfectum.

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Il nuovo modo di vestirsi adottato dalla Tigre aveva subito fatto chiacchierare, eppure, malgrado l'impatto che una scelta del genere avrebbe potuto avere nel sentir comune, la cittadinanza aveva nel giro di appena un paio di giorni accettato e digerito quella novità, trovandola in fondo una conseguenza naturale di tutto quello che stava accadendo in Italia.

Così, abbastanza tranquillizzata da quel clima più disteso del previsto, la Contessa si aggirava per la rocca e per Forlì con addosso brache da uomo, camicione, giubbetto o, più spesso, una leggera cotta di maglia, e la spada al fianco. L'unico momento in cui tornava a vestire qualche abito da donna era la sera, o quando aveva impegni solo a Ravaldino, ma per il resto cominciava a trovare troppo comodo il suo nuovo guardaroba per privarsene.

Tutto sommato, in quell'ultima settimana la Sforza era riuscita a trovare un sottile equilibrio, dividendosi in modo abbastanza equo tra gli impegni di Stato, i figli – eccezion fatta per Ottaviano, che lei rifuggiva in modo categorico – e Giovanni da Casale. Lei e il suo amante, dopo l'ultima volta alla cittadella, erano riusciti a organizzarsi con una certa facilità, seppur per parentesi abbastanza frettolose, eleggendo come luogo per i loro incontri una locanda poco frequentata, non lontana dal Quartiere Militare.

Anche Pirovano sembrava aver accettato di buongrado il nuovo abbigliamento dell'amante, limitandosi a un'unica battuta di spirito, la prima volta in cui si era trovato intento a spogliarla dai suoi abiti maschili: "Questa è la prima volta che tolgo di dosso i vestiti a un soldati..." aveva scherzato.

Ben decisa a non farsi smontare da quella che sapeva essere una velata critica alla sua libertà d'azione, la donna aveva ribattuto: "Non preoccuparti... Alla fine è una cosa molto facile da fare. Io, per esempio, ho imparato molto in fretta."

Quell'allusione al fatto che i suoi amanti occasionali fossero per lo più soldati, aveva messo a tacere Giovanni che, ben lungi dal voler di nuovo litigare per colpa della sua gelosia, decise di non sollevare più la questione.

Quella mattina, Caterina stava tornando a passo svelto dal palazzo. Aveva dovuto incontrare di nuovo i rappresentati della città e quella riunione aveva solo avuto il potere di inacidirle il sangue.

A volte aveva il sospetto che tra i Consiglieri cittadini ci fosse qualcuno che remasse volontariamente contro di lei, che quasi sperasse nell'arrivo di un conquistatore esterno che spazzasse via tutto. Altrimenti non poteva spiegare l'ottusa ostilità che certi dimostravano verso i suoi doverosi e indispensabili provvedimenti.

Aggirando una grossa pozzanghera dal bordo fangoso, giusto sotto la statua di Giacomo Feo, la Contessa si trovò a ripensare alle notizie che Marulli le aveva riferito via lettera. La missiva era arrivata giusto quella mattina e ciò che il bizantino aveva scritto era stato sufficiente alla donna per decidere di richiamarlo immediatamente a Forlì. Michele era una pietra d'angolo nel piano che la Tigre aveva elaborato per mettere al sicuro i propri figli, quindi era tempo che si allontanasse dai francesi e tornasse da lei.

Attraversando il ponte levatoio di Ravaldino, la donna riprese a ragionare su ciò che Marulli le aveva scritto, innanzi tutto sulla sorte inclemente che sembrava essere destinata al figlio di Isabella d'Aragona. Secondo Marulli, il bambino era stato fatto partire per la Francia e là sarebbe stato tenuto in prigionia presso un'abazia. Forse si sarebbe trattato di un carcere meno duro di quello che era stato il castello di Pavia, ma non di certo più permissivo.

Michele aveva poi riferito in modo abbastanza minuzioso tutti i giochi di potere che si stavano consumando nelle stanze del palazzo di Porta Giovia, sottolineando soprattutto la precarietà della posizione dei Bentivoglio e, secondo il suo giudizio, anche degli Este e del Gonzaga. A suo parere il re si stava prendendo gioco di tutti loro, tenendoli calmi al solo fine di poter attraversare le loro terre indisturbato e cavalcare verso Napoli.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora