Capitolo 541: L'amore vien dall'utile.

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Sancha e Alfonso stavano parlando sottovoce, troppo spaventati per poter alzare i toni, anche se la discussione si stava facendo molto accesa.

Se la prima stava chiedendo al fratello di seguirla e di tornare subito a Napoli, l'altro si opponeva, tacciandola di essere troppo impulsiva e codarda. La verità, però, era che nel suo profondo Alfonso le dava ragione e sapeva che presto il loro odiato cognato, Cesare, sarebbe tornato a Roma, o, se non altro, in Italia.

Il papa gongolava di continuo, facendo finta di sapere poco o nulla, ma di fatto in tutto il Vaticano si sapeva che l'invasione del Ducato di Milano da parte dei francesi era alle porte e che, di conseguenza, anche il ritorno del figlio del pontefice che, una volta vista aperta la strada, avrebbe galoppato per tornare nell'Urbe.

'E da sua sorella Lucrecia' era stato il finale di pensiero, rimasto tale, del giovane Aragona.

Era chiaro, ormai, ai napoletani che dopo Milano, dopo la Romagna, i Borja sarebbero scesi verso Napoli, cercando di aver ragione degli Aragona che, ancora disuniti e non del tutto ripresisi dalle guerre degli ultimi anni, sarebbero crollati nel giro di una stagione. L'unica cosa che potevano fare loro due era tornare in patria, secondo la giovane donna, e riorganizzare la difesa prima che fosse troppo tardi, prima che il pontefice approfittasse della loro presenza a Roma per decapitare il loro Stato uccidendoli con qualche sotterfugio.

Sancha stava ancora cercando di convincerlo, dicendogli che se non fossero scappati subito, Cesare avrebbe fatto di loro carne da macello, perché se si mette una corona in testa a un cane rabbioso, per prima cosa quello sbranerà tutti coloro che l'hanno bastonato.

Alfonso fingeva di non ascoltarla, scuotendo il capo, incapace anche solo di pensare una vita lontano da Lucrecia. E, dopo tutto, se lui e la sorella fossero scappati, non avrebbero certo potuto portarsi appresso la Borja. Rodrigo avrebbe messo a ferro e fuoco il mondo, pur di riaverla per sé.

La moglie di Jofré tentò un'ultima volta di far breccia nell'ottuso rifiuto del ragazzo, ricordandogli di come lei avesse messo in ridicolo i Borja con la sua condotta deplorevole, mentre lui, per quato meno colpevole, fosse comunque un mostro da sconfiggere, agli occhi di Cesare – anzi, del Duca di Valentinois – solo perché aveva osato mettere incinta Lucrecia, sua legittima moglie, ma proprietà figurativa del Borja.

Quando Lucrecia entrò nel salottino, trovò Alfonso che ancora scuoteva il capo e Sancha con il viso arrossato, gli occhi quasi umidi di lacrime di rabbia. Per un istante non capì cosa stesse succedendo tra loro ed ebbe paura che fosse capitato qualcosa di grave.

Quando, però, il marito le andò incontro, abbracciandola in silenzio, si tranquillizzò. L'Aragona fece cenno alla sorella di andarsene e così rimase solo con la figlia del papa che, cullata dalla sua stretta, si lasciò andare a un breve sospiro.

"Stavate litigando?" chiese la giovane Borja.

Alfonso fu tentato di spiegarle tutto subito, ma poi, capendo che la moglie aveva qualcosa di urgente da dirgli, lasciò perdere e domandò di rimando: "Come mai questo sorriso? Buone notizie?"

"Mio padre vuole farmi Governatrice di Nocera, Assisi, Visso, Trevi, Montefalco, Spoleto e anche altri posti che adesso non ridcordo nemmeno più..." spiegò Lucrecia, con il tono vivace di una ragazzina che si vanta delle proprie conquiste: "Dice che probabilmente fino al mese prossimo non avrà pronti i documenti per rendere la mia carica ufficiale, ma..."

"E come mai questa decisione?" domandò l'Aragona, facendosi improvvisamente serio.

Non gli piaceva, quella cosa, tanto meno collegandola alla guerra che stava per scoppiare. Sua moglie era gravida, e di circa sei mesi. Se fosse partita in agosto, sarebbe arrivata ad Assisi o dove il papa avesse deciso, grossa di sette mesi, mettendo a rischio il loro preziosissimo figlio.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora