Capitolo 619: Vincere scis Hannibal; victoria uti nescis.

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Lorenzo era arrivato a casa tardi e Semiramide aveva capito subito dalla sua espressione che doveva essere qualcosa di brutto. Il Medici appariva preoccupato e molto più taciturno del solito.

Era così assorto in se stesso che non aveva nemmeno trovato il tempo di esibirsi in una delle battute acide che ultimamente era solito dedicarle e, all'ora di cena, aveva deciso di saltare il pasto, ritirandosi in camera sua.

L'Appiani non aveva fatto domande esplicite, né aveva chiesto a qualcuno dei servi che quel pomeriggio erano usciti per andare al mercato se per caso avessero avuto notizia di qualche novità che riguardasse la Signoria o i francesi. Aveva semplicemente deciso di lasciarsi scivolare addosso quella che era solo una delle tante sere di silenzi a cui suo marito la costringeva, e, finito di cenare, anche lei si era ritirata in stanza, dopo aver dato la buonanotte ai figli.

Era ormai da sola da un paio d'ore, quando, suo malgrado, aveva sentito il bisogno di cercare la compagnia di Lorenzo. Un po' si vergognava ad ammetterlo con se stessa, ma andare a cercarlo solo quando ne aveva voglia, cominciava a piacerle, perché le dava uno strano senso di rivalsa che la ripagava di tante reticenze e incomprensioni.

Si era accorta che anche il Popolano era tornato a essere dipendente da lei, per quanto lo fosse solo di notte, e sperava, in cuor suo, che facendosi sempre più strada nella sua anima, avrebbe finito per riottenere il posto che aveva prima della morte di Giovanni. Anzi, sarebbe stato bello se avesse potuto riavere accanto l'uomo che il Medici era prima della morte del loro piccolo Averardo, ma sapeva che quello sarebbe stato ancora più impossibile.

Così, stretta nella vestaglia pesante, la donna lasciò la sua camera nel momento stesso in cui le campane battevano la mezzanotte. Arrivò fin davanti alla porta del marito senza bisogno dell'ausilio della luce di una candela. Anche se era una notte molto buia, ormai Semiramide aveva fatto quel percorso notturno così tante volte da conoscerlo a memoria.

Senza bussare, provò ad aprire, ma si accorse che l'uscio era chiuso a chiave. Indecisa, rimase qualche istante al suo posto, e poi si convinse a bussare. Non accettava l'idea che Lorenzo potesse pensare di chiuderla fuori così facilmente.

Picchiò il pugno contro il legno per un paio di volte, poi riprovò, con maggior insistenza. Stava quasi per rinunciare, domandandosi se per caso il Medici fosse uscito e avesse chiuso proprio per quello, quando la serratura scattò e la porta si aprì un po', lasciandole intravedere il viso pesto e gli occhi stanchi del marito.

"Che vuoi?" le chiese, la voce strascicata, indosso la vestaglia da notte.

"Perché hai chiuso a chiave?" ribatté lei, incrociando le braccia sul petto.

L'uomo guardò per un lungo istante il viso della moglie, al buio così difficile da interpretare, e poi borbottò: "Perché non volevo essere disturbato."

"Nemmeno da me?" quella domanda le era scivolata dalle labbra così in fretta che l'Appiani non aveva fatto in tempo a calibrare meglio il tono, finendo per suonare molto più affranta di quanto non volesse.

"Oggi quella maledetta Sforza è arrivata al palazzo." disse Lorenzo, aprendo un po' di più la porta, ma impedendole comunque di entrare.

"Qui? A Firenze?" Semiramide credeva di aver capito male, perché le sembrava assurdo che la Tigre di Forlì fosse arrivata in città in modo così silenzioso, senza che si sapesse.

"Sì. È arrivata qui da sola, come la pezzente che è, senza nemmeno un uomo di scorta. È venuta qui a minacciarci e a dare a tutti ultimatum..! Come se fosse nella posizione di farlo..." il modo spazientito con cui Lorenzo stava agitando una delle mani dalle dita tozze convinse poco l'Appiani.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora