Capitolo 636: La Messa.

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Caterina aveva ascoltato per ore i racconti dettagliati fatti da Gian Piero e dal fratello di Naldi. Era preoccupata, quello si vedeva, ma il Landriani aveva già capito pure che oltre alla preoccupazione era un'altra l'ombra che oscurava gli occhi verdi della figliastra.

"Naldi ha intenzione di resistere, comunque?" chiese la donna, abbassando lo sguardo per evitare quello del vedovo di sua madre.

Fu il fratello del castellano a rispondere: "Mio fratello vuole resistere, sì."

"E vorrebbe che io gli inviassi cosa, di preciso? Uomini? Munizioni? Cibo?" nella domanda della Tigre non c'era né sarcasmo, né tanto meno aggrssività.

L'unica nota che si potesse sentire nella sua voce era quella dell'impotenza più assoluta. I due uomini che le stavano davanti si scambiarono una lunga occhiata, senza dirsi nulla.

Erano nello studiolo di Bernardino da Cremona, seduti attorno alla scrivania, e ormai fuori era calata la notte da un pezzo. Le candele gettavano su di loro il bagliore delle loro fiammelle, ma era il buio a prevalere su tutto. In quella luce quasi spettrale, né Gian Piero né il Naldi si sentivano in grado di essere ottimisti.

"Tutto quello che potete, mia signora." disse piano il fratello di Dionigi.

La Sforza schiuse le labbra, iniziando a scuotere la testa, ma il Landriani la frenò, posandole paternamente una mano sul braccio: "Caterina, prima di decidere cosa fare, pensate bene a quello che capiterà. Là non ci sono solo soldati. C'è un'intera città in balia dei francesi, e dalla rocca si stanno bombardando le case."

"Vorreste dirmi – fece la Tigre, ritraendo il braccio – che dovrei dichiarare la resa?"

"Voglio solo dirvi di pensarci bene, prima di invitare Dionigi al sacrificio." parafrasò Gian Piero.

"Io al momento non posso fornire soldati, sarebbe troppo pericoloso spostarli... Verrebbero uccisi non appena si avvicinassero a Imola." spiegò la Contessa, non vedendo altra soluzione, a quel punto, se non parlare in modo chiaro: "La rocca di Naldi ha viveri per durare un anno e munizioni per attaccare il nemico per mesi. L'unica cosa che servirebbe loro, come intuibile, sono i soldati, ma, come detto, ormai è tardi per inviargliene. Non doveva lasciarli alla mercé di Tiberti quando era il momento."

La Leonessa si stava alzando dalla scrivania, sotto gli occhi attoniti del fratello di Naldi, e a quel punto il Landriani sbottò: "Per Dio! Ci sarà pure qualcosa da fare!"

"Certo. Affilate le spade e combattete, come avevamo deciso fin dall'inizio." decretò la donna: "E voi tornerete a Imola e direte a Dionigi di continuare come sta facendo e di tenermi aggiornata. Che bombardi i francesi il più che può, senza lesinare."

"E poi? Quando in qualche giorno avrà finito le munizioni di mesi, cosa faremo?" chiese Gian Piero, deglutendo.

"Vi avevo detto di andarvene, di tornare a Milano." disse a denti stretti la Tigre, voltandosi appena verso l'uomo che, appesantito dai suoi anni, mancava della cieca furia che animava invece buona parte del suo giovane esercito: "La guerra non è fatta per i vecchi."

Il fratello di Naldi si sentiva di troppo. Aveva capito già da un paio di battute che quel discorso non sarebbe stato per le sue orecchie. Si trattava, probabilmente, di qualche recriminazione che aveva radici nella loro famiglia, qualcosa, insomma, con cui lui non aveva nulla a che fare.

"Invece è fatta per i ragazzi come mio figlio Piero, giusto?" chiese il Landriani, senza alterarsi, ma facendosi più rigido.

"Ho chiesto a Piero molte volte se voleva andarsene. Gli avevo anche detto che l'avrei aiutato, se avesse voluto farlo." precisò Caterina, voltandosi verso Gian Piero, in modo da poterlo fissare in volto: "È stato lui a non volere."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora