Capitolo 624: ...non ci va in alcuna guisa a genio.

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"Ti ho cercata dappertutto..." il tono basso, ma furibondo di Pirovano, irritò la Sforza, che era andata al Paradiso per convocare il suo amante al Consiglio ristretto che aveva appena indetto.

"Ero nei boschi." fece lei, sulla difensiva, guardandolo armeggiare con i lacci del suo giubbone: "E, comunque, se mi hai davvero cercato finora, perché era qui nel tuo alloggio, in abiti da camera?"

"Sono stato tutta la notte in piedi per la ronda, ho riposato un paio d'ore." si schermì lui: "Ma comunque non è questo l'importante. Quello che è successo a Imola lo è!"

La donna, che si sentiva via via sempre più sopraffatta da ogni cosa che le veniva riferita gli domandò che intendesse. Il milanese, finendo di rivestirsi, le disse di aver avuto dal castellano una lettera di Corradini in cui si spiegava che l'ordine inviato da lei era stato rifiutato dalla popolazione in quanto manchevole della corniola che vi avrebbe dato ufficialità.

"Che diamine..." sbuffò lei, mentre finalmente il suo amante era pronto e l'affiancava nell'uscire dalla stanza: "Lo riscriverò e lo farò partire entro sera."

Giovanni non sembrava troppo convinto che quel provvedimento bastasse. Era vero, si era trattato di una distrazione abbastanza grossolana della Sforza, ma era anche vero che mai, malgrado l'attenzione non sempre certosina della Contessa, Imola si era rifiutata di eseguire un ordine esplicito solo per una manchevolezza del genere.

"Caterina..." provò a dire Pirovano, già pentito di aver accolto in modo aggressivo la sua amante e rimpiangendo di non averla, invece, salutata come avrebbe voluto: con un bacio.

"Che c'è ancora?" chiese la Tigre, voltandosi appena, ma non smettendo di camminare.

Il milanese, smontato dallo sguardo di rimprovero che la donna gli aveva appena rifilato, lasciò perdere e disse solo: "Hai una macchia sulla manica del giubbone."

La Leonessa guardò laddove l'indice di Giovanni indicava e tagliò corto: "Solo una macchia di sangue... Me la sono fatta a caccia. Non è nulla di che. Andiamo, la riunione comincerà tra poco."

"Io non sto criticando vostra madre – mise in chiaro Bernardino da Cremona, alzando una mano come a difendersi in modo più evidente – sto solo dicendo che un campo arato da troppi uomini può essere in pericolo: nascesse qualche pianticella, nessuno saprebbe dire a chi spetterebbero i frutti."

Galeazzo, che aveva incontrato il castellano nel corridoio e ne aveva subito approfittato per chiedere notizie riguardo i lavori che aveva proposto per il mastio, non sapeva come gestire quella che era sfociata in una sorta di continua ripicca.

Quando, infatti, aveva domandato al cremonese se avesse già fatto in tempo a esporre alla Contessa il suo progetto, l'uomo dapprima aveva borbottato dicendo che non era un compito che spettava a lui, e che trovava assurdo che la Sforza e i suoi figli sembrassero aver sempre bisogno di un intermediario per parlarsi, e poi aveva cominciato a lamentarsi sempre più apertamente di tutta una serie di comportamenti della sua signora che andavano a rendergli molto difficile il suo lavoro.

Non ultimo, a infastidirlo particolarmente sembrava essere proprio la condotta troppo liberale della Leonessa in fatto di uomini.

"I vostri commenti sono molto sconvenienti." provò a frenarlo il Riario, che non aveva alcuna voglia di sentire certe frasi riguardo sua madre.

"Lo è anche la condotta di vostra madre!" insistette il castellano.

Galeazzo avrebbe voluto poter accusare Bernardino da Cremona di dire falsità, ma purtroppo si trovava in parte d'accordo con lui. Tuttavia, non avrebbe per nessun motivo lasciato intendere quel che pensava davvero e così già stava aprendo la bocca per rimettere in riga il castellano, senonché Luffo Numai li chiamò dal fondo del corridoio.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora