Capitolo 472: Dovunque può esser litigio, ivi debbe esser giudicio.

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Bartolomeo d'Alviano prese con una mano la ciotola di brodaglia che gli veniva porta dal suo attendente.

Avrebbe preferito addentare un bel cosciotto caldo di pollo, o anche solo un pezzo di pane nero fragrante, come quello che sfornavano le cucine del castello di Bracciano, e invece la sua ferita non ancora del tutto guarita alla lingua gli impediva di mettere sotto i denti cibi che fossero più consistenti di qualche zuppetta.

Faceva ancora molta fatica a parlare e secondo il cerusico che lo controllava di quando in quando, non avrebbe mai più ripreso ad articolare le parole come un tempo. Questo fatto, in tutta franchezza, a Bartolomeo interessava molto poco.

Era sempre stato di poche parole e quindi gli bastava poter fare il minimo indispensabile, con la voce. Riusciva ancora a sussurrare gli ordini ai suoi e non aveva mai avuto bisogno di gridare, per farsi obbedire dalle truppe. Parenti con cui chiacchierare non ne aveva più, e per quanto riguardava Pantasilea Baglioni... Ebbene, quando fosse tornato da lei, l'avrebbe evitata il più possibile e quindi anche in quel caso la sua lingua martoriata non sarebbe stato un problema.

Era la vigilia di Natale e Marzano era immersa in una sorta di coltre di nebbia gelata che dava l'illusione di essere in mezzo a una nuvola.

Bartolomeo stava cercando di ricordare l'ultimo Natale che aveva passato con sua moglie Bartolomea, ma tutte le volte che le ripensava non poteva evitare di rivederla com'era la prima volta che l'aveva vista, quando ancora non si conoscevano. Lei era già una donna nel fiore degli anni, mentre lui era poco più di un bambino, eppure, fin dal primissimo momento, l'Alviano aveva saputo che un giorno sarebbe riuscito a diventare il suo uomo.

"Il cibo è sempre più scarso, vero?" fece Carlo Orsini, sedendosi accanto allo zio, davanti al braciere: "Speriamo che le nuove vettovaglie arrivino presto, perché sono stanco di mangiare questo schifo..."

Bartolomeo non commentò, sollevando appena il sopracciglio. Adesso che aveva la scusa della lingua ferita, gli altri facevano meno caso al suo mutismo.

"All'armi!" gridarono all'improvviso delle voci dal limitare del campo: "All'armi! Vitelli! Le insegne fiorentine! All'armi!"

Senza attendere oltre, l'Alviano gettò in terra il suo scodellino di brodo e riprese in mano la spada che aveva appoggiato in terra. Non c'era tempo di indossare l'armatura. Non si era aspettato un assalto a quell'ora, tanto meno alla vigilia di Natale.

Quella guerra, pensò, stava facendo saltare tutte le convenzioni di buona creanza e cristianità. Se non si rispettava la tregua nemmeno nei giorni santi come quello, allora significava che non ci sarebbe stata altra tregua se non una sconfitta per una delle due parti.

Correndo laddove le guardie indicavano, Bartolomeo aguzzò la vista e contò a spanne circa cinquecento fanti che correvano sotto l'insegna di Paolo Vitelli.

Lanciò uno sguardo ai suoi. Spaventati, colti alla sprovvista e in gran parte in cerca di armi ed elmi, impossibilitati a indossare le armature o sellare i cavalli per motivi di tempo.

In quelle condizioni, non potevano vincere: "Carlo – chiamò il nipote, biascicando un po', la lingua che andava per conto suo – dai ordine di resistere. Appena vedi i nostri iniziare a cadere, ci ritiriamo."

"Verso dove?" chiese l'Orsini, che si stava infilando di fretta un mezz'elmo.

"I monti della Verna." decise Bartolomeo e poi, con un cenno d'assenso, cedette il lato destro al nipote e lui si tenne il sinistro, liberandosi in un urlo disarticolato che diede ai suoi soldati quel minimo di coraggio utile a resistere al primo impatto con il nemico.


Caterina stava finendo di prepararsi. La Messa in Duomo sarebbe iniziata nel giro di un un paio d'ore, ma lei avrebbe preso parte a quella nella chiesa di San Girolamo, dove il Natale si sarebbe celebrato quasi un'ora prima.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora