Capitolo 560: Desines timere si sperare desieris.

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"Perché mi hai fatta chiamare?" chiese Caterina, entrando in camera e chiudendosi subito la porta alle spalle.

Pirovano, che finalmente aveva il suo bagaglio – molto ridotto rispetto a prima – pronto, e che già indossava gli abiti da viaggio, non le disse nulla, ma le andò incontro, stringendola a sé: "Non voglio partire pensando che abbiamo litigato."

La Sforza ricambiò il suo abbraccio, ma appena poté, lo allontanò: "Non abbiamo litigato..." lo ridimensionò: "Abbiamo avuto una discussione, sono cose che succedono. Basta che adesso fai quello che ti dico."

Il giovane, un po' mortificato dal modo in cui l'amante aveva smorzato la sua stretta, annuì in silenzio e poi prese la sua borsa, come a dire che se le cose erano a posto, allora era pronto a partire.

"Anche stanotte ho diviso il letto con te. Credi che l'avrei fatto, se fossimo stati davvero in guerra l'uno con l'altra?" gli chiese la Tigre, che, improvvisamente, si era trovata a valutare tutti i possibili rischi di far partire per Firenze un innamorato scontento.

Conosceva Giovanni da Casale solo fino a un certo punto. Anche se istintivamente si fidava di lui, c'erano stati alcuni piccoli episodi che l'avevano un po' fatta ricredere sulla sua lealtà adamantina.

Non era mai stato nulla di grave, ma cose come lo scoprire che l'uomo scriveva ancora, di nascosto da lei, al Moro, l'avevano messa in guardia.

"Sì, sì, hai ragione... Sono io che... Insomma, non ho mai avuto qualcosa di stabile, in vita mia e quindi non so come..." provò a dire lui, imbarazzato.

"Va tutto bene." lo tranquillizzò lei, dandogli un bacio veloce e posandogli una mano sulla guancia coperta di peli fitti e nerissimi: "A me piaci con la barba, però in viaggio può dimostrarsi più un'attrazione per i pidocchi che non per le donne... Avresti potuto passare da Bernardi, prima di andare..."

"Meglio di no... Se proprio avrò bisogno di una spuntatina, mi sono portato appresso le forbici, così posso fare da me." fece lui, un po' distratto, mentre si dava una rapida occhiata attorno per vedere se avesse dimenticato qualcosa: "Ultimamente in quella barberia si fanno discorsi che non mi piacciono, e il tuo amico barbiere s'è fatto un po'... Antipatico, diciamo, nei miei confronti..."

La Leonessa, colpita da quella considerazione, calcolando che non passava dal Novacula da tempo, era sul punto di fare altre domande, ma proprio quando stava per aprir bocca, qualcuno bussò alla porta.

"Avanti." disse la Contessa, e quando si trovò dinnanzi la figlia, con una bottiglia della pozione che le aveva chiesto di preparare in mano, si ricordò di colpo di averle affidato quel compito.

Senza che lo volesse davvero, con il passare delle ore, si era scordata sempre di più di quel problema. Tuttavia, andandole incontro e ringraziandola, prese subito il prezioso bottiglione dalle sue mani.

"Se avete ancora bisogno di me, sono da Giovannino..." fece la Riario, rossa in viso, senza guardare Pirovano.

"No, non è necessario..." fece la madre, appoggiandosi alla scrivania e sorbendo subito una dose abbastanza abbondante della sua pozione, quasi volesse supplire quelle saltate: "C'è Galeazzo con lui, e quando Giovanni sarà partito, tornerò anche io lì. Quindi fai pure quello che preferisci, adesso: riposati, leggi, studia, cuci..."

La ragazza fece un mezzo inchino e poi, rivolgendosi al milanese, gli disse: "Vi auguro un buon viaggio, messer da Casale."

L'uomo ringraziò con un cenno del capo e così la giovane si sentì davvero libera di andare. Era da giorni che non passava un po' di tempo con le sue amiche della cucina e aveva un gran desiderio di recuperare un po' di tempo perduto.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora