Capitolo 495: Beati i miti, perché erediteranno la Terra.

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  Quella mattina Forlì era stata accesa per lo spazio di un paio d'ore da una cerimonia abbastanza rapida e silenziosa, che, però, aveva lasciato il suo segno.

Anche se la Contessa avrebbe preferito mantenere il più possibile il riservo, su quell'iniziativa, alla fine Luffo Numai l'aveva convinta di lasciare che se ne parlasse, in modo, soprattutto, da convincere maggiormente il papa delle sue buone intenzioni.

Aveva rilasciato dieci prigionieri, come il Cardinale Raffaele Sansoni Riario le aveva suggerito di fare, anche se alla fine aveva scelto dei delinquentelli comuni, di quelli che erano rinchiusi per piccoli furti o per reati di poco conto. Insomma, non era certo il genere di prigioniero a cui si riferiva il prelato, ma la Sforza non poteva fare più di così. L'importante, cercava di convincersi, era il gesto, non la sostanza.

Cesare aveva patrocinato la cerimonia di liberazione con la stessa pedante solennità di un Arcivescovo d'esperienza e dopo poco tutti i curiosi accorsi erano tornati alle loro occupazioni, felici di aver qualcosa di cui chiacchierare.

Tornata alla rocca, Caterina aveva ceduto alla richiesta di Sforzino – avanzata per interposta persona da Bianca – di seguire una delle sue lezioni. Era da tempo, in effetti, che la donna accantonava in modo plateale l'ultimo figlio nato dal suo matrimonio con Girolamo.

Così, in parte contenta di avere quel pretesto per sottrarsi alla nebbia che stava salendo sulla città, si chiuse nella sala delle lettura assieme a Sforzino, al suo precettore e a Bianca, che aveva voluto presenziare a tutti i costi. La madre non aveva chiesto spiegazioni, e la ragazza era stata felice di non doverne dare.

Non avrebbe saputo come dirle che voleva esserci al solo scopo di arginare qualche suo eventuale scatto di rabbia. Non vedeva motivi, per cui sua madre dovesse irritarsi con Sforzino, ma non si poteva mai sapere. Suo fratello aveva undici anni e mezzo, ma era sensibile come un bambino molto più piccolo. Bianca, per quanto fosse in suo potere, voleva cercare di fargli da scudo, se necessario.

Tuttavia, fin da subito, fu chiaro a tutti i presenti, eccezion fatta per Sforzino, che, teso, non osava nemmeno guardare la madre, quanto la Tigre fosse assorta nei suoi pensieri e quasi del tutto estraniata da quello che capitava davanti.

"Questa frase la si può tradurre nel seguente modo: beati i miti, perché erediteranno la Terra." stava dicendo il ragazzino, immerso in un'analisi teologica che comportava anche la traduzione di lunghi stralci di Bibbia e Vangelo dal latino: "Il che sta a significare che..."

"Beati i miti perché erediteranno la Terra..." borbottò tra sé Caterina, ripensando involontariamente sia alla liberazione dei prigionieri di quel giorno, sia a tutti quei prigionieri che, invece, negli anni, erano incappati nella durezza della sua giustizia.

Sforzino aveva smesso di parlare, ma poi, quando la Contessa non fece seguire altro a quelle parole, il precettore lo invitò a continuare. Così il Riario, rosso in viso e un po' più impacciato, riprese la sua dissertazione, fino a terminare con considerazioni che il suo insegnante etichettò come 'incredibilmente profonde per un allievo della vostra età'.

La Sforza accolse quasi con sollievo la fine della lezione. Si complimentò con il figlio, che, sorpreso dalle sue parole di apprezzamento, chinò il capo in modo tanto goffo da far accendere un sorriso sul volto della sorella e del maestro.

Appena Bianca e Sforzino lasciarono la sala, la Tigre venne avvicinata dal precettore, che, con serietà, le disse: "Vostro figlio ha un autentico talento per la teologia. E anche per il latino. Io credo che dovreste..."

"Fare anche di lui un alto prelato della Chiesa, come suo fratello Cesare?" lo anticipò Caterina, che pur sapeva che quella soluzione sarebbe stata in assoluto la migliore per Sforzino: "Non vi pare sia prematuro?"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora