Non appena aveva ricevuto la lettera della Contessa Riario, Annibale Bentivoglio aveva spronato i suoi a camminare e cavalcare più in fretta che potessero.
In realtà la sua colonna in ritarata era molto più sgranata di quanto avesse voluto, ma le parole della Tigre erano assennate e caute e gli assicuravano che lei non avrebbe alzato un dito per intralciarli o colpirli. Aveva anche indicato la strada che avrebbero dovuto percorrere, in modo da essere certi di non incappare in imboscate o spiacevoli incidenti.
"I carriaggi sono quasi a mezza giornata di distanza da noi..." aveva provato a dirgli uno dei suoi secondi, quando il bolognese aveva dato ordine di accelerare ulteriormente il passo della cavalleria.
"Al diavolo – aveva risposto Bentivoglio, che, più di ogni altra cosa, voleva tornare nella Bologna di suo padre Giovanni e sentirsi di nuovo al sicuro – con i carri ho lasciato tutti i comandanti migliori che ho. Se non sono in grado loro di difendere quattro buoi..."
E così, senza porre altro indugio, il figlio del signore di Bologna aveva passato il confine e aveva sfilato in silenzio lungo la cinta muraria di Forlì, sotto l'occhio vigile della Tigre.
Annibale, scorgendo una donna ritta in piedi sui camminamenti, in cima alla porta cittadina – che era stata chiusa, probabilmente per dimostrare che la fiducia verso di loro c'era, ma solo fino a un certo punto – capì subito che dovesse essere lei.
Circondata da alcuni arcieri e da altri armigeri, la Contessa se ne stava immobile e silenziosa, lo sguardo rivolto verso di lui, i capelli lunghi e chiarissimi – bianchi, praticamente – smossi dal vento freddo di quella mattina di dicembre.
Il Bentivoglio, comunque, non si prese la briga né di farle un cenno di saluto, né di rallentare la corsa del suo cavallo. L'unica cosa che voleva fare era lasciarsi alle spalle anche lei.
"Che vigliacco..." borbottò a voce bassa la Sforza, dando un ultimo sguardo alla colonna capitanata dal Bentivoglio: "Si mette in salvo per primo..."
Il Capitano Rossetti, al suo fianco, le diede tacitamente ragione, mentre Mongardini, che stava alla sua destra, lo fece anche a parole: "Se fosse un vero uomo, avrebbe combattuto."
"O almeno non avrebbe lasciato i suoi da soli a ritirarsi alla spicciolata." fece eco il castellano, le mani giunte dietro la schiena e lo sguardo duro verso i nemici che ormai si stavano sperdendo all'orizzonte.
"Quanto hanno di distacco, i bagagli?" chiese Caterina, dopo un piccolo cenno di approvazione per quelle parole, tornando alla scaletta a chiocciola, per scendere dai camminamenti.
"Secondo i nostri esploratori, i fanti sono a circa quattro o cinque ore di distacco e i carri hanno quasi il doppio del ritardo." spiegò Cesare Feo, seguendola a breve distanza.
"Bene." ribatté lei, con fare sicuro: "Andate a dire a Manfredi che si prepari a uscire tra un paio d'ore, per poter mettere i suoi in posizione."
Il castellano, che era stato messo a parte del piano della sua signora, era ancora molto scettico. Non tanto riguardo alla riuscita del colpo, perché per quanto riguardava la validità del faentino come comandante e dei soldati scelti dalla Sforza come combattenti non aveva dubbi o preoccupazioni.
Era il dopo, a tenerlo sulle spine.
"Mia signora..." provò a dissuaderla, per un'ultimissima volta: "Siete sicura che..."
"Lo so che probabilmente non crederanno che io sia estranea a quello che stiamo per fare." mise in chiaro la Tigre, che, in effetti, non aveva fatto che pensarci tutta notte: "Ma ho pensato a come trovare una scusa, nel caso in cui ci fossero rimostranze da parte dei Bentivoglio."
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...