C630:Veneficium quod ipsa comitissa contra nos moliebatur.

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"E che cosa stanno facendo gli imolesi?" Dionigi Naldi si era infuriato, aveva sbraitato, aveva tirato pugni al muro, ma alla fine aveva dovuto calmarsi e cominciare a organizzare la difesa.

Mai, in vita sua, avrebbe creduto di vedere due tradimenti simili perpetrati a così breve distanza l'uno dall'altro. Da uno come Giannotto, francese prezzolato, se lo sarebbe potuto anche aspettare.

Era il Cagnaccio ad averlo lasciato basito. Lo conosceva come un uomo rude e crudele, a volte perfino meschino, ma con l'unico pregio di servire una bandiera e una sola fino alla morte. Che cosa gli fosse successo, su quei camminamenti di cinta che l'avesse fatto cambiare così tanto e così in fretta, Dionigi proprio non riusciva a capirlo.

"Sembra che si stiano radunando per votare." spiegò Gian Piero Landriani che, pur non avendo più ruoli nell'amministrazione cittadina, quando aveva capito cosa stava accadendo era subito corso alla rocca a riferire: "Tiberti ha fatto capire loro che non farà nulla, per il momento, ma che il tempo stringe. Dice che finché c'è solo lui, darà il tempo a Imola per decidere se arrendersi e vivere o combattere e morire, ma che presto, molto presto, arriverà il figlio del papa e a quel punto, se la città non avrà preso una decisione, il Borja ucciderà tutti e basta."

"Se la mette giù così – soppesò Naldi massaggiandosi la fronte, affranto – mi pare ovvio quale fazione vincerà."

"Anche a me." concordò il Landriani, stringendo le labbra.

La sua mente, da quella mattina, non faceva che correre a suo figlio Piero. Avrebbe dovuto, forse, correre da lui a Forlimpopoli. Non sarebbe riuscito a convincerlo a lasciare il suo posto, quello lo sapeva, ma almeno avrebbero potuto morire fianco a fianco. Poi, però, appena l'idea di seguire quell'istinto sembrava prevalere, Gian Piero riportava alla sua mente l'ultima immagine che aveva di suo figlio.

Si era fatto un uomo fiero e capace, sicuro di sé e leale. Sarebbe stato sicuramente più felice e orgoglioso nel sapere che suo padre si rendeva utile alla causa facendo qualcosa, piuttosto che creargli solo un intralcio raggiungendolo a Forlimpopoli.

Dionigi, intanto, stava pensando a quanto era stato inutile mettere in cella il figlio del suo parente, Carnevale Naldi, proprio in quel frangente così confuso. E ormai, liberarlo sarebbe stato solo un regalo ai nemici, che l'avrebbero usato come simbolo.

"Aspettiamo di sapere cosa decide la popolazione." concluse Dionigi, cominciano a battere ritmicamente la punta delle dita sull'elmo che teneva sotto al braccio: "Appena avremo conferma della vittoria della fazione che vuole la resa, punteremo i cannoni verso i punti sensibili della città e verso l'accampamento di Tiberti."

"Quindi verso i magazzini di foraggio?" chiese Gian Piero, pensando che, in effetti, aveva sentito dire che Tiberti stesse spostando proprio nel borgo le sue truppe.

"Tanto per cominciare." annuì Naldi: "E poi vedremo un po' che altro ci converrà fare."

"Dunque sei davvero convinto che tuo suocero ti verrà a salvare?" chiese Caterina, guardando il figlio del famoso banchiere Giuntino ripararsi il viso con le mani.

Aveva chiesto agli aguzzini di lasciare il prigioniero libero. Non voleva trovarsi davanti di nuovo un giovane uomo legato e immobilizzato, come era accaduto con Ludovico Marcobelli.

Il genero di Tiberti, che era in cella da molto poco, aveva addosso solo i segni della cattura, che a quanto pare era stata abbastanza rocambolesca, ma eccezion fatta per qualche livido e gli abiti strappati, lo si poteva definire in ottima salute.

La donna aveva chiesto a tutti quanti di lasciarli soli, premurandosi unicamente di tenere una guardia vicino alla porta, che intervenisse in caso di bisogno. Se le fosse servito aiuto, aveva detto la milanese, avrebbe dato personalmente ordine di intervenire. In caso contrario, non gli era permesso entrare, qualsiasi cosa avesse sentito.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora