"Non abbiate paura – disse Alessandro Orfeo, sporgendosi un po' in avanti, per stringere la mano a Francesco Fortunati – ho già scritto al Duca, parlandogli in modo estremamente chiaro. Milano è amica di Firenze, lo sapete benissimo, ma la Contessa è una Sforza, e dunque il mio signore parteggia più per lei che non per la Repubblica."
Il piovano annuì, senza staccare gli occhi dal viso dell'ambasciatore, nella speranza di capire se davvero fosse riuscito a convincerlo o se quell'uomo stesse cercando di prenderlo per i fondelli, recitando solo una parte.
Quando riprese a parlare, però, Francesco fu abbastanza sicuro che il diplomatico si fosse davvero convinto che quella fosse la realtà, e quindi si permise di calmarsi un po'.
"Quell'Achille Tiberti..." soffiò Orfeo, scuotendo il capo e sporgendo un po' in fuori le labbra umide: "Un facinoroso, ecco che cos'è. L'ho detto io stesso alla Contessa, ma quella non mi vuole sentire. È una donna, che volete, si lascia impressionare da qualche muscolo e da una bella armatura..."
Fortunati non commentò, evitando di dar voce ai suoi reali pensieri, e si limitò a restare in ascolto.
Così il milanese proseguì: "E per Baldraccani... Sono contento che mi abbiate messo in guardia. Mi rendo conto che voi conoscete molto meglio di me gli affari della Contessa, e se dite che questo Segretario la sta manipolando, ebbene, avete ragione a dire che va allontanato, e mandarlo a Milano mi pare un ottimo compromesso."
Il piovano fece un respiro appena più profondo, accomodandosi meglio nella poltrona imbottita davanti al camino. Gli pareva impossibile essere riuscito a convincere il milanese tanto in fretta, ma più gli parlava più gli appariva chiara la sua inconsistenza, e, da lì, la sua ingenuità.
"E per Firenze, quindi?" chiese alla fine Francesco, quando il loro incontro stava per dirsi concluso.
"Ho già ribadito più volte al mio signore l'insoddisfazione della Contessa, e sono convinto che presto farà sentire la propria voce alla Signoria, affinché ritornino a trattarla come si deve trattare un alleato della sua levatura." disse Alessandro, serio.
A quel punto, il piovano lo ringraziò ancora per tutto, aggiungendo che avrebbe fatto quanto in suo potere per convincere la Sforza, che purtroppo lo teneva a distanza, come stava facendo con tutti i fiorentini che le capitavano a tiro, a permettere a Baldraccani di partire per Milano e a Tiberti di accettare – se mai fosse arrivata – una condotta dal Moro.
"Ah..." fece allora Orfeo, appena prima di lasciar andare il suo ospite: "Volevo chiedervi...Vi ho visto, l'altro giorno, entrare alla rocca e uscirne dopo almeno due ore... Cosa ci siete andato a fare, se voi stesso mi dite che la Contessa vi parla a mala pena?"
Fortunati, nel breve scambio di sguardi che ne seguì, si chiese quanto l'ambasciatore fosse realmente superficiale e quanto, invece, fingesse di esserlo.
Senza scomporsi, preferì restare sulla difensiva, nel caso in cui la sua prima valutazione circa il milanese fosse stata troppo ottimista: "A fare cosa, mi chiedete..." sorrise: "Ebbene, il castellano di Ravaldino chiedeva la consolazione di una confessione e io non potevo certo negargliela, dato che non può uscire dalla rocca. Non credete che abbia fatto bene, ad andare per raccogliere il suo pentimento per i suoi peccati?"
Accigliandosi, Orfeo parve credervi e concluse: "Certo, certo... Vi auguro una buona giornata."
Uscito dal palazzo in cui alloggiava il diplomatico, Francesco camminò a vuoto per quasi un'ora e poi arrivò alla locanda in cui la Contessa lo stava aspettando.
A quell'ora era pressoché deserta e in più la Tigre si era fatta riservare una saletta privata, al primo piano, in modo da non avere nessun orecchio indiscreto in ascolto.
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Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (Parte IV)
Historical Fiction(Troverete le prime tre parti sul mio profilo!) Caterina Sforza nacque nel 1463, figlia illegittima del Duca di Milano e di una delle sue amanti, Lucrezia Landriani. Dopo un'infanzia abbastanza serena trascorsa quasi per intero tra le mura del...