A Chi Hai Detto Bambino E Causa Persa?

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~ Episodio 3 ~








Quando JungKook tornò nel suo ufficio erano già le sei di sera, aveva saltato volontariamente il momento della merenda, non dovette neanche chiedere ad HoSeok di mentire, o meglio omettere, la sua presenza perché il Beta dopo aver saputo di quello che era successo tra il suo amico ed il loro capo non aveva avuto voglia di mostrarsi alla loro presenza e fare finta che tutto andasse bene; nelle stanze regnava il silenzio – tanto che al ragazzo venne in mente la possibilità che non ci fosse nessuno – e non c'erano neanche odori particolari che dimostrassero che lì dentro fossero stati compiuti atti sessuali, palesando che qualcuno aveva avuto l'ottima idea di aprire le finestre e far arieggiare l'ambiente. Poco più di mezz'ora prima NamJoon lo aveva convocato al dodicesimo piano per consegnargli dei documenti urgenti da far firmare al fratellastro quindi esimersi dal bussare alla porta era impossibile, si avvicinò con cautela cercando di tendere l'orecchio, erano in ufficio e lui aveva tutto il diritto di essere lì e richiedere le attenzioni del suo capo ma la paura di sentirlo gemere sotto i tocchi di qualcuno che non fosse lui gli faceva venire la nausea, colpì il legno con le nocche cercando di fare meno rumore possibile e con la certezza nel cuore che di lì a poco avrebbe litigato con il suo Alfa, «Entra pure Jeon», entrò scrutando la stanza e l'uomo che la abitava, il composto e sempre elegante Kim TaeHyung, se ne stava seduto alla sua scrivania con i capelli leggermente scompigliati, privo di giacca e cravatta e con i primi bottoni della camicia aperti.

Posò la tazza di tè che aveva preparato, sul bordo del tavolo per poi mettergli davanti agli occhi il mucchio di fogli da firmare. TaeHyung li fissò per alcuni istanti, quei documenti provenivano sicuramente dall'ufficio di suo padre, era lì che era rimasto per tutto il giorno? A confabulare un piano per distruggerlo? Aveva paura di sapere ma doveva conoscere la risposta e sedare le sue incertezze, «Dove sei stato?». Bevve un sorso di tè solo per nascondere l'espressione corrucciata che aveva sul volto.

JungKook si aspettava quella domanda ed era pronto a dire la verità, non aveva fatto nulla di male, dopotutto erano stati lui ed il suo amante ad allontanarlo, ma quando il maggiore si spostò in avanti per recuperare la penna che gli sarebbe servita per firmare quelle carte insieme al suo corpo anche la stoffa della camicia si mosse mostrando il colore rosso di alcuni capillari che erano stati succhiati – o forse morsi – e rotti sotto la clavicola, l'unico segno rimasto di ciò che era accaduto quella mattina; rispondere in modo scontroso ed impertinente fu l'unica risorsa che il suo cervello trovò per non soccombere alla gelosia, «Che te ne frega. Ho fatto il mio lavoro, no?»

«Il tuo dannato lavoro è quello di stare al mio servizio», pose l'ultima firma con così tanta forza e frenesia da strappare quasi la carta ruvida dei documenti e quando l'altro cercò di prenderli per andare via gli afferrò il polso per trattenerlo, non aveva ancora vinto quella discussione ma non aveva ancora neanche perso, «Dovrei licenziarti», TaeHyung, stizzito, allontanò il braccio di JungKook che prima aveva stretto per poi alzarsi e dirigersi verso la finestra, doveva, anzi no voleva, trovare un modo per calmarsi e quelle persone che camminavano avanti e indietro sotto di lui, ignare del turbinio di pensieri che vorticavano nella sua testa, riuscivano sempre a farlo.

«Ed io devo ricordarti ancora una volta che non sei stato tu ad assumermi?», lo aveva detto di nuovo, sapeva che lo avrebbe infastidito eppure continuava a ripetergli quel concetto che però serviva anche ad avvisarlo e non solo ad umiliarlo.

«Giusto. Sei al servizio del mio caro paparino che ti paga per avere il suo leccapiedi personale», gli occhi di TaeHyung guizzarono verso la strada, perché in quel momento nessuno sembrava voler attraversarla? La sua testa era immobile ma gli occhi vagavano da un lato all'altro affamati di storie che non fossero la sua, favole che lo avrebbero calmato, e finalmente il semaforo in fondo alla strada era diventato rosso, le macchine avevano rallentano fino a fermarsi e la sua attenzione poté posarsi su quella più vicina, un'auto di lusso di colore grigio metallizzato nella quale scorse una bambina che forse poteva avere a malapena tre anni, era legata al suo seggiolino e teneva in mano un orsacchiotto di colore scuro. Poteva vederla perfettamente mentre lo muoveva parlandogli all'orecchio, chissà quale misterioso segreto gli stava rivelando e quali mondi fantastici condividevano, lui che era cresciuto come figlio unico pur non essendolo veramente conosceva bene l'impellente impulso di raccontare i propri dolorosi segreti a qualcuno. Era quasi riuscito a tirare un sospiro di sollievo quando la voce di JungKook lo riportò alla realtà.

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