A night to remember

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Non é questo che fanno tutti? Cambiare casa, trasferirsi in un altro paese, andare avanti... Non é questo che fanno tutti dopo aver ucciso qualcuno?

È diverso seppellire un cadavere se il suo sangue non ti ha imbrattato le mani. Totalmente diverso se le lacrime hanno bagnato le tue guance per lo strazio invece che il sudore per la fatica. Sapete quanto pesa un cadavere? L'unico motivo per cui potreste lacrimare è perché puzza più di una cipolla, e l'odore non se ne va con l'acqua.

E forse nemmeno cambiando Stato potreste liberarvi davvero dell'unica notte che vi ha stravolto la vita, ma almeno potreste dormire con una sconosciuta pretendendo che il vostro unico problema sia quello di darle il ben servito. È così sbagliato voler provare ad essere buoni per la seconda volta?! Non posso avere una seconda chance pure io!? Voglio solo quello che volete voi. Una cazzo di vita normale. Una caffettiera fumante che fischia come un treno, un paio di calzini che non sono più un "paio", una ciotola di croccantini per il gatto dei vicini che viene trascurato da quando dorme un cane nella sua cuccia. La lista della spesa sul frigorifero e le luci di Natale alla porta. Ho ucciso un uomo. D'accordo. E quindi!? Credete di non sbagliare mai voi? Voi vi arrogate il diritto di giudicare perché non avete mai pugnalato qualcuno, sentito il suo ultimo respiro? Siete le stesse persone che non si accorgono dell'ennesimo casuale taglio sul braccio del figlio, o del cassetto della scrivania sempre chiuso. Le stesse persone che indossano una fede solo durante la settimana perché nel weekend la vostra amante perfetta vi aspetta in qualche hotel fuori città. Credete di essere migliori perché non avete ucciso nessuno? Ma insomma, guardatevi attorno, e se non riuscite a osservavi nello specchio allora frugatevi nelle tasche! Uccidete qualcuno tutti i giorni, in un modo o nell'altro. La mia unica colpa. Anzi no! La mia unica sfortuna è che io il sangue l'ho visto scorrere, voi no, ma non siete meno assassini di me. Eppure ricevete seconde opportunità tutti i giorni.

E questa è la mia.

Ha il corpo sinuoso e i capelli corvini. Bacia meglio di qualunque ragazza abbia mai dormito nel mio letto e sorride ogni volta che gemi per lei. Ti guarda negli occhi perché sa che è così che ha conquistato tutte le sue ultime avventure. È una buona seconda chance per me.

Non so il suo nome. So che è originaria di Miami. E che dorme tanto dopo il sesso. Mi alzo piano piano prima che svegliarsi e preparo due tazze di caffè. Ieri sera beveva vodka, perciò non sono sicura se lo preferisca con lo zucchero o senza, ma so che piace a tutti il caffè. Nelle serie tv lo bevano sempre, anche quando la situazione diventa tremendamente imbarazzante, cosa molta probabile per questa mattina.

Il rumore dei suoi passi mi provoca un sussulto. Non sono abituata ad avere qualcuno in giro per casa. Proprio quando mi convinco che apparire disinvolta non sia così arduo, la donna si materializza sulla soglia di cucina con solo il lenzuolo avvolto attorno alle spalle.

«Buongiorno.» Sorride come se sapesse già cosa l'aspettasse.

«Buongiorno.» Io abbasso lo sguardo perché, no non me lo aspettavo affatto!

Si siede tranquillamente sullo sgabello e chiede se c'è dello zucchero. Anche adesso sembra, è, a suo agio. Forse avrei dovuto capirlo prima, ma è vedendola  addolcire la bevanda che intuisco non essere questa la sua prima volta e nemmeno l'ultima. Sono d'accordo con questa scoperta? La conosco a malapena, giusto? Volevo solo fare qualcosa di normale e scopare (si dice così, che io sappia) con una sconosciuta che non rivedrò è un buon inizio per uniformarmi al vicinato. Anche loro, malgrado le fedi e le utilitarie, sgarrano più del previsto. Magari ci riuniremo tutti uno di questi giorni per discutere delle nostre scappatelle. Sarà una grande orgia verbale. Però questo non sembra molto normale.

«Hai dormito bene?» Ecco, questo, invece, è molto normale.

«Ho dormito poco.» Cerco di farla ridere e mi accontento del suo sorriso perché è ancora più genuino.

«Ti sei trasferita da poco, vero?» Domanda senza attenuare l'increspatura delle labbra. Solo quando la mia espressione glaciale e guardinga indugia su di lei  la bocca si appiattisce in un moto agitato di balbettìi. «Voglio dire.. La, la vernice. C'è più odore di vernice che di caffè.» Sai di aver fatto una domanda sbagliata, ma non sa dove ha sbagliato.

«Ma certo.» La rassicuro con un sorriso che sicuramente appare più sghembo del suo ma le scioglie la tensione sulle spalle. Spalle ancora nude. «Mi sono trasferita per lavoro.» Annuisco, sperando non approfondisca l'argomento visto che non ho una scusa pronta e se tentennassi ancora potrebbe scambiarmi per una squilibrata o, peggio: per un'asociale.

«Mi piace.» Si limita a rispondere. «Mi piace il colore delle pareti.» Soggiunge cordiale, cercando i miei occhi nello stesso modo in cui le sue mani cercavano le mie nel letto l'altra notte.

«È il mio preferito.» Mi lascio sfuggire un dettaglio che é una piccola verità e immediatamente capisco come deve essere sentito Joe quando ho affondato la lama del coltello nel suo sterno. Non è il dolore ad ucciderti, ma l'assenza di ossigeno. E io sono corto di fiato perché l'unica persona a cui non ho mentito è stata mia madre, e non la vedo da quindici anni.

La osservo attentamente mentre si guarda in giro. Forse un minuto fa stava osservando solamente il color fiordaliso, ma adesso si starà domandando perché non ci sono scatoloni affastellati in giro. O forse il suo cipiglio è dovuto alla mancanza totale di fotografie. Ieri sera era troppo ubriaca per potersi render conto che non vi si trovano libri, o medaglie o qualsiasi oggetto le persone esibiscano per vantarsi silenziosamente della loro dedizione. Il buio, inoltre, aveva nascosto l'assenza di cappotti o vestiti o biancheria o qualsiasi indumento venga abbandonato dopo una giornata di lavoro. Adesso sa. Pretende di non sapere, ma mentre sorseggia la sua bevanda so che non è a causa del caffè che deve deglutire così spesso. Probabilmente la tazza è vuota già da qualche minuto.

Ha il più bel viso che abbia mai visto, così mi viene spontaneo chiederle «Come ti chiami?»

Le sue sopracciglia scattano prima degli angoli della bocca, il che può significare solo due cose: o era soprappensiero oppure è stato prima un brivido a scudisciarle la spina dorsale. E nessuna delle due opzioni mi piace.

Si lecca le labbra non per assaporare il caffè come vorrebbe farmi credere, ma perché improvvisamente si sono inaridite.

«Lauren.»

È un peccato. Aveva anche un bel nome.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora