La felicità

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Quando le luci si spengono, fai caso a cosa rimane acceso.

Renditi conto di quell'unico bagliore che del buio se ne frega, lo ignora e fa spallucce quando gli passa accanto. La notte inghiotte tutto, ma solo per lasciar rifulgere altro e altrove. Può essere una luce lontana migliaia di chilometri, ma sarà anche che vedrai più vicina del lampione sotto casa. E sarà anche più luminosa. Facci caso, dunque. Perché se esiste la notte lo si deve solo a ciò che non si spenge.

E tu non ti spengi mai, Lauren.

Chi ti vede solo sotto i riflettori, in realtà ti vede al buio. Non ti conosce come ti conosco io. Non ti ricorda come ti ricordo io. Non ti perdona come ti perdono io. L'onda di mani alzate verso il cielo danza sul ritmo dei tuoi sogni, però io, i miei sogni, te li ho donati tutti. Tu autografi magliette e dvd, ma io ti ho dedicato molto più di una parola indelebile sulla tua copertina preferita. E ho marchiato molte più tue magliette col rossetto che tu col tuo pennarello. Ma non credo tu questo lo capirai mai. E se lo capissi, beh, non ti imporrerebbe. Non ti importerebbe saperlo perché tu sei fatta così. Sapere che qualcuno ti ama è fin troppo quotidiano per te.

Ciò che era quotidiano per noi, invece, erano le parole. Ne abbiamo usate tante e ciò che mi è sempre piaciuto é che ne abbiamo sprecate poche. Abbiamo sempre avuto troppo rispetto per ciò che da dentro di noi diveniva parola per pronunciarle ad alta voce. I nostri litigi, infatti, erano silenzio. Ma succedeva di rado, di litigare, ci piaceva di più sussurrare. Mentre eravamo distese su quello che non sarebbe stato più lo stesso letto, univo le mani alle tue e mentre le baciavo ti dicevo "Adesso" tu rispondevi "Si, adesso, si, ma anche dopo." E sapevamo benissimo cosa intendevamo, solo che era troppo presto per ammetterlo con le parole che tutti usano quando sono stanchi di fingere.

Tu sei stata la prima a stancarti. Mi hai interrotta nel mezzo di una conversazione. Stavamo parlando d'altro. Si parla sempre d'altro quando ci si confessa. E tu hai preso coraggio, quel coraggio che assomiglia ad una folata di vento improvvisa che ti scompiglia i capelli e ti fustiga il viso anche se ti ripari con la mano. "Sono innamorata di te". Niente mi sembrava più semplice di quel salto nel vuoto. "Anche io". Si, hai saltato più in alto tu. "Questo vuol dire che ti amo". E hai saltato anche con la rincorsa. "Anche io." Io forse ho solo preso uno slancio. Hai voltato il
Viso verso di me e hai sorriso con l'indulgenza di chi conosce le mie paure e mi protegge da esse come le mamme proteggono i bambini quando attraversano la strada. Bisogna assicurarsi che non ci siano pericoli da nessuna delle due parti. "Adesso." Hai detto, "Senza dopo", hai pregare. Ti ho baciato perché lo meritavi, perché lo volevo. "Ti amo anche io." Poi mi hai detto che ero una stupida e io ho ringraziato il cielo di aver trovato qualcuno come te, che dell'ironia ne faceva il paracadute per una discesa più morbida. Non sono abituata agli atterraggi bruschi, cancellano sempre il senso della caduta.

Poi, non so come, ma so che avevo già previsto sarebbe successo, ho capito che certi salti si fanno una volta sola perché correre nuovamente alcuni rischi è come chiedere al fuoco di non bruciarti mentre ti avvolge. Ma la verità è che, prima di te, mi sentivo legna da ardere e dopo di te mi sono sentita cenere. Però, con te, ero fiamma. E tu eri fuoco. Comunque noi avevamo già saltato e credo che la caduta sia stato l'unico momento in cui abbiamo potuto stare insieme. Toccare terra significava rompere l'illusione, ma non potevamo certo schiantarci. Anche se, forse, per tua madre sarebbe stato più semplice sapere che il paracadute non si era aperto. Non avrebbe mai dovuto sapere quale vento l'aveva accompagnato verso il suolo.

Credo che odierò per sempre il cielo. È stato ciò che ci ha unito e non ho mai capito che sarebbe stata anche l'unica cosa che avremmo condiviso. Troppo giovane per figurarmi una fine, ma non troppo ingenua per non riconoscerla. Avrei voluto almeno sapere che finiva perché non c'era più amore, perché non c'era mai stato, perché i sogni sono marionette della realtà, perché avevano vissuto troppi "adesso" per sperare in un "dopo". Invece ho dovuto scendere a patti con la verità. E la verità è che l'amore per la tua famiglia ti portava via dall'amore per la nostra famiglia, quella che non avremmo avuto più. Ti ho lasciato andare perché non eri abbastanza forte da sopportare due amori diversi e opposti combattersi sul terreno di guerra. L'ho fatto per te. Ma non credo tu lo sappia. E penso sia meglio così. Se lo sapessi sarebbe peggio per entrambe e non ha senso sperare tu soffra quando abbiamo già pianto abbastanza da sciupare la luce degli occhi per almeno due stagioni.

Però, la guerra me la stai facendo tu, Lauren.

Non ho armi con cui difendermi, le ho depositate tutte, ma non credevo saresti tornata a vendicare anche questa debolezza.

Lui non sa chi sei quando nessuno ti guarda, anzi. Si è innamorato di te proprio perché tutti ti vogliono. E anche lui ti vuole. Per lui non sei altro che una conchiglia dentro la quale può sentire il mare senza accorgersi delle onde sotto i piedi. Non si fermerà mai ad ascoltare le tue onde. Le osserverà solo per chiedersi perché le sue orme spariscono sulla sabbia. E se saranno schiuma, le scambierà per riflessi. Però tua madre dice che sei felice. Sorride abbastanza da nascondere la tua infelicità. Sorride per tutte e due.

Dice che sei felice. E tu glielo lasci dire. E io... Io ve lo lascio credere.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora