Una Sera Che Scorderai

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Impiegai più energie a percorrere la strada che separava la camera d'albergo dal bar che a percorrere la distanza che separava Miami da Los Angeles.

Quando sono partita ho fatto un solo errore, quello più comune e perfido che poi, alla fine, si risolve proprio trascinandosi in un bar: ho  calcolato solo le probabilità positive. Non sono un'ottimista per natura, quindi non giudicatemi male subito. Credevo solo che se qualcuno giurasse di amarti la sera prima lo facesse col letto vuoto. Ma forse questo mi rende più ottimista di quanto non voglia essere. Forse, il massimo che potrei auspicare dal mondo odierno, sarebbe non scoprire la verità prima di settantadue ore. Troppo cinica adesso? È il gin. L'alcol mi fa ridere solo quando trascorro una bella giornata, quindi per Natale, perché si mangia bene, e per Capodanno, perché si beve bene. Tutti gli altri giorni mi accontento del caffè, anche quando nemmeno una bottiglia del miglior champagne potrebbe sollevarmi l'umore scolo una tazza di caffè.

Perciò se oggi sono seduta -per poco- in questo bar è perché le mie certezze si sono messe a tremare più delle gambe di questo sgabello. Con Alexa doveva durare tutta la vita ed invece è finita in ventiquattro ore. La prossima volta compratela Alexa, che sicuramente dura di più di quella in carne ed ossa, il mio subconscio sembra l'unico a non vacillare.

Ho ordinato due bicchieri di gin e non so dove troverò il coraggio di berne almeno mezzo. Non sono astemia, ma trovo patetico affondare i dispiaceri nell'alcol, come se ubriacarsi fosse il nuovo metodo per dimenticare. Forse le ore dopo la sbronza svaniscono, ma sono quelle prima il problema. Dovrei solo andarmene, ma il barista sta pulendo per l'ennesima volta lo stesso boccale mentre mi fissa di sottecchi. Crede che sia una codarda o un'incapace. E lo detesto perché sono gli stessi motivi per cui ho varcato quella soglia.

Riporto lo sguardo sul liquido e sono contenta che sia troppo trasparente per specchiarmici dentro. Le nocche si sbiancano per la pressione che esercito sul bicchiere. Ho come l'impressione che potrebbero spezzarsi prima le mie falangi del vetro. Dal sorriso beffardo malcelato del barista intuisco che abbiamo avuto lo stesso sentore. Incapace e codarda. Basta così. Non più. Alzo di scatto il gomito e avvicino il bordo alle labbra, il primo è più bagnato delle seconde in questo momento. Prima che possa inumidire la bocca inaridita però, una mano mi ferma.

Faccio guizzare lo sguardo nella direzione del malcapitato. Per una volta che ho scelto -sottolineo scelto!!- di essere coraggiosa vengo frenata dalla paura altrui. È una condanna.

«Beh?!» Inarco un sopracciglio indispettita.

La donna corvina mi fissa con due smeraldi enigmatici ma diretti. Non so cosa vogliano dirmi, ma qualsiasi cosa sia io ci credo già. Uso il verbo "credere" perché "sottostare" sarebbe esagerato, ma... Incapace e codarda. Ecco.

«Mi dispiace intromettermi ma...» Non le dispiace affatto, fidatevi. Anzi. Ho come il presentimento che abbia atteso di intervenire proprio al momento giusto, proprio per "intromettersi". «Hai pagato per avere uno dei migliori gin della zona e te lo stai per scolare come fosse una birra da quattro soldi.» La smorfia delle sue labbra fa intendere un dispiacere legato all'esperienza che non so se apprezzare o temere. Sto per prendere consiglio da un'ubriacona? E io che non pensavo di poter cadere più in basso. A quanto pare l'umiliazione è un pozzo senza fondo. Forse dovrei rallegrarmene: ecco qualcosa che non finisce dopo 24 ore.

La osservo senza dire niente, ma il mio silenzio è un tacito consenso che la induce ad accomodarsi sullo sgabello di fronte al mio. E ammetto fosse quello che volevo, solo che dirlo ad alta voce sarebbe stato troppo...troppo... Incapace e codarda, si può riassumere così.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora