Goodbye

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Mentre sto qui ad aspettare mi chiedo se abbiamo fatto tutto il possibile per farla finire in un altro modo, o se ci siamo arrese troppo presto per saperlo. Avevamo dei sogni simili da condividere lungo la strada, non so dire quando si siano scollati. Forse, se sapessi rintracciare quel momento, potrei dirti perché ho fatto finta di dormire così tante notti che alla fine hai smesso di venire a cercarmi.

Forse ho creduto troppo a lungo che avere qualcosa da dirti bastasse per sopravvivere, senza rendermi conto che prima o poi l'inchiostro si esaurisce.

Non so dove tu sia stata per avere le guance così rosse già di prima mattina, non credevo ci fosse bisogno del cappotto per passeggiare, ma dal momento che non lo togli e non ti siedi capisco che non sei tornata per restare.

«Il taxi è arrivato.» Hai un tono talmente atono che mi sento in colpa a credere di essere l'unica a soffrire qui.

Adesso ho un sacco di inchiostro da usare, ma nessuna parola da intingere. Annuisco anche se l'ultima cosa che vorrei fare è arrendermi a lasciarti andare.

«Lauren, dovresti dirmi qualcosa, non ti pare?» Chiunque sarebbe scocciato dal silenzio testardo al quale mi sto ostinando, ma non tu. Tu vuoi solo risparmiarmi un rimpianto in più, perché hai vissuto abbastanza per sapere che non tutto può essere espiato con una canzone. Anche se questa, no. Questa non la scriverai mai.

«A che ora parte l'aereo?» È difficile parlare, perché so che niente potrebbe farti cambiare idea, e in fondo è ciò che volevo, no? No, credo solo di averlo considerato abbastanza giusto da non chiederti cosa ne pensassi tu.

Un sorriso amaro ti sfiora le labbra che presto userai per trattenere qualche lacrima in più: «Alle dodici.»

«Chi ti viene a prendere?» Sto ancora parlando del futuro come se potessi chiamarmi dopo per dirmi che stai bene, e credo sia per questo che distogli lo sguardo da me.

«Mia madre.» Camila, non avevi la voce rotta nemmeno quando hai comunicato che lasciavi il gruppo, so che per te non è facile accettarlo, ma vorrei che per una volta ingioiassi il tuo orgoglio invece che il pianto. Non oso immaginare quante lacrime tu ti sia proibita e quante torneranno a chiederti il conto.

Annuisco di nuovo, pensando sia la cosa migliore lasciarti andare senza darti da pensare a me.

«Puoi inviarmi le ultime cose a casa, per favore?» Dal tono in cui però sei tornata a parlare, credo che mi stai preoccupando per niente.

«Certo. Te le spedisco domani.» Meglio farla finita subito che aspettare settimane. Non sono tagliata per tenere vicino ricordi che non posso toccare, e preferisco te ne vada in una volta sola perché altrimenti tornerò troppo spesso a questo giorno.

Il silenzio presume te ne stia andando, ma non hai ancora mosso un passo quando alzo gli occhi su di te. È la prima volta che ti guardo dopo ciò che ci siamo urlate la scorsa notte. So che è assurdo, ma ti sento ancora vicina nonostante le porte chiuse e le notti insonni. Mi chiedo se allontanarci basti per sentirmi vicina a qualcun altro.

«Ti ricordi quando ci siamo conosciute?» Chiedi, e ora stai sorridendo come se fosse allora. «Avevi una maglietta carina, ma ho pensato che tu lo fossi di più. Impugnavi il microfono come se fosse pronto a esploderti in mano.»

«Tu non eri tanto meglio.» Sorrido, assecondando un gioco molto pericoloso.

«Però avevo una maglietta più carina della tua.» Inarchi le sopracciglia come fossero pistole, ma con te non ho mai saputo far altro che incassare il colpo dopo che avevi già sparato.

«Il tuo giubbotto non era male.» Non so se sia un bene rimuginare sull'inizio ora che siamo alla fine, ma mi basta vederti sorridere per capire che va bene così. «E la tua presentazione è stata divertente.» Non so dove siano finite quelle due persone. Credo se le siano portate via i contratti, le pretese, le aspettative, i tour, le finzioni. Tutto perso in delle firme a piè di pagina, scritte su documenti che hanno salvato solo il portafogli di qualche manager là fuori.

«La mia presentazione è stata pessima.» Stai ridendo di gusto, tanto che non posso fare a meno di imitarti più cautamente. Chiunque penserebbe sia il momento perfetto per chiederti di restare, ma ciò che ci tiene ancora unite è la memoria di ciò che abbiamo già perso, perciò ha senso che abbassi lo sguardo.

«A me piaceva.» Mormoro.

«Lo so, Lauren. A te piaceva tutto di me.» Sospirando sai che è stato lo stesso per te.

«Mi piace ancora.» E vorrei fosse abbastanza per far sì che le cose funzionassero, che i nostri sogni si ritrovassero, ma stai già scendendo una salita che io mi ostino a risalire.

Inspiri più a fondo che puoi. È triste sapere che è solo così che sai avvicinarti a me. Ti chini quel tanto che basta per eguagliare la mia postura. L'ultima volta che siamo state qui sapevo non come sarebbe finita finché non ti sei tolta la camicia, ora il tuo cappotto è tutto ciò di cui ho bisogno per conoscere la fine.

«Anche a me, Lauren.» Sussurri, ed è la prima volta che sento la tua voce rompersi per le lacrime e non per le grida. Vorrei tu fossi stata sveglia quando ti pregavo di non lasciarmi andare. Ma era tanto tempo fa, quando ancora mi addormentavo non credendo in nessun giorno dalle stanze vuote. Ora suonerebbe diverso.

La tua mano è soffice contro la mia guancia. Spero i miei pollici siano lo stesso sulla tua, ma se non fosse lascio siano le mie parole ad esserlo.

«Io so che sarai una grande cantante, verranno un sacco di persone a vederti, guarda lo so. Non ridere, sono seria. Spaccherai, ma davvero. Tutti diranno "ti ricordi di Elvis Presley e di Camila Cabello?", capito, roba cosi, roba forte. Tu ridi, ma io ci credo davvero, giuro.» 

«Ascolterò tutte le vostre canzoni, perché pure voi andrete forte, lo so. Non provare a scrivere qualcosa che non ti appartiene, intesi? Che si fottano i Manger o chi per loro. Tu scriverai e canterai le tue cose, e piaceranno a tutti. A tutti.» Mi baci la mano come se fossi io quella che sta piangendo. Sai perché non ti chiedo di restae? Perché so che se potessi, resteresti.

«Hai fatto la scelta giusta, Lauren. Ora lo so. Non potevamo continuare a fingere, era diventata una vita inventata. È meglio per tutti così, davvero.» Non me lo avevi mai detto, ma ora so che non hai mai creduto in tutte quelle notti spese a lasciarti pensare stessi dormendo. Credo che avessimo deciso già allora. 

Il clacson spazientito fa tintinnare quello stupido lampadario che non mi è mai piaciuto. «Devi andare.»

«Ok.» Mi guardi ancora negli occhi quando strombetta di nuovo gracchiante l'autista. So che non riuscirai ad andartene se non sarò io a lasciarti andare, è sempre stato così, ecco perché non so dire chi delle due dovrà piangere di più dopo questo.

«Starai bene. E starò bene.» Ti rassicuro, prendendoti il viso fra le mani per fare quello che mi riesce naturale. Non è un bacio per dirti altro che addio. Mi piace, però, che dopo tanti anni le tue labbra siano ancora fatte per essere mie. Avverto nel tuo modo di serrare gli occhi, però, che non c'è altro che tu possa conservare per me.

«Ciao, Camila.» Lasciami almeno distogliere lo sguardo adesso, e cammina il più velocemente possibile così che non debba risentire i tuoi passi quando avrai chiuso la porta.

«Ciao, Lauren.» Mi tocchi la mano ancora una volta, e la stringi un po' troppo a lungo per credere che non te la ricorderai più. Te ne vai stringendo una valigia che hai lasciato mezza vuota. Anche io lo sono, ma so che un giorno andrà meglio di così.

Se avessimo potuto fare altro lo avremmo fatto, ora lo so.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora