Una storia semplice

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Il primo giorno di scuola ho capito subito che non mi sarebbe piaciuto nessuno di loro. Mentre a capo basso raggiungevo il banco in fondo -quello più ombrato dagli sguardi inquisitori della maestra- mi resi conto che probabilmente sarei stata io a non piacerli. Anzitutto non sembrava affatto il primo giorno perché tutti parlavano fra di loro come amici di vecchia data, mentre io avevo perso di vista tutti i miei contatti. Da Welbour se ne vanno via tutti molto presto. Mia madre aveva commesso l'errore di spedirmi in una scuola privata, una di quelle in cui ti insegnano ad essere -non a cercare, ad essere- sempre il meglio -per non dire il migliore-. Tutti i miei nuovi compagni provenivano da scuole pubbliche, dove per "il meglio" si intendeva avere abbastanza carta igienica per tutti.

I ragazzi sbraitavano allegramente e sputavano quando ridevano, quasi fosse acqua santa che benediceva i nuovi adepti. Le ragazze invece sghignazzavano senza ragione, se non quella di farsi notare, e chiacchieravano indipendentemente dall'ora di ricreazione o di lezione. Se in una scuola privata osava ronzare una mosca mentre la maestra spiegava, quella la scovava senza nemmeno alzare la testa: le bastava uno sguardo fugace per azzittire il brusio, altrimenti ci avrebbe pensato la sua mano pesante, che sicuramente non si chiudeva per fare il segno del silenzio sulle labbra come quella della mia nuova Profesoressa. Si serrava per ben altro. Quindi ho capito subito, ma non con dispiacere, che avrei trascorso tre anni nell'anonimato. Se fuggissi io da loro o loro da me non mi era chiaro, ma non era essenziale saperlo fin quando la sedia accanto al mio banco veniva utilizzata solo per poggiare lo zaino.

La mia piacevole solitudine andò avanti per diversi mesi. Il tempo a scuola veniva scandito lentamente dalle lancette, uno stillicidio di secondi infinito. Non credo nessuno rammentasse la mia presenza, se non quando la professoressa declamava l'appello. "Ah si, c'è anche lei, giusto". L'invisibilità era conveniente comunque. Oddio, forse non "conveniente", ma aveva i suoi risvolti positivi. Per esempio nessuno mi bersagliava mai con palline di carta impregnate di saliva. Nessuno mi additava mai quando durante l'ora di matematica si reclutavano volontari. Insomma, non me la passavo così male... Ma poteva andare sicuramente meglio. Quello che non mi aspettavo, però, quello in cui nemmeno speravo perché sperarci avrebbe significato avvertirne il peso della mancanza tutti i giorni, era stringere amicizia. Ancor meno potevo immaginare un'amica come Lauren.

Non era una scapestrata come Frank, anche se suo fratello Chris faceva parte del suo gruppetto;  e non era nemmeno una spocchiosa come Esther, anche se trascorrevano del tempo assieme. Non ho mai capito perché la gente simpatica debba perdere tempo con gli idioti. È uno spreco. Però, insomma, non sto certo ammettendo che le convenisse investire il suo tempo con me. Sto solo dicendo che io non ero stupida. Sola, stanca, strana, taciturna si, ma stupida no. E a lei deve essere piaciuto qualcosa fra tutte queste qualità che non piacevano a nessuno di me, perché una mattina, senza preavviso o alibi che tenesse, aveva avanzato due passi in più rispetto al solito, scombinando gli equilibri di interi mesi per venirsi a sedere accanto a me. Inizialmente non ho realizzato cosa stesse accadendo. Pensavo volesse qualcosa. Tutti mi chiamavano quando finivano la penna o spezzavano la matita. Ne tenevo sempre una di scorta perché mia madre viveva con l'ossessione dei batteri e mi vietava di toccare le cose altrui. Così erano loro a toccare le mie. Spostò la sedia con fare naturale, come se non avesse fatto altro da sempre, quando invece era già terminato il Natale e ancora non avevamo scambiato mezza parola. Non si ricordò subito di me. Dovette schiarirmi la voce per notificarle che esistevo. Voltò di scatto la testa, ma senza fretta, e notandomi le nacque un sorriso tenue sulle labbra. Non ne avevo mai visto uno così vicino. Non era un sorriso a trentadue denti, al massimo uno di quelli che si dedica agli sconosciuti per strada. Eppure.

"Da quando hanno tagliato il vecchio albero il sole mi batte sempre negli occhi a fine giornata. Ti spiace se mi siedo qui?" E così un vecchio tronco veniva abbattuto mentre il seme della nostra amicizia veniva piantato.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora