Una sera d'estate io...

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Molto spesso devi solo distrarti. Ognuno trova il suo modo per farlo. E la maggior parte delle volte è quello più sbagliato, perché solo commettendo un grosso errore si dimentica un grosso dispiacere. Non c'è da stupirsi se al giorno d'oggi Joker è più apprezzato di Batman: è diventato pazzo dal dolore, e per questo si è garantito la devozione del pubblico.

Ma non c'è niente di eroico e tantomeno devoto nell'imbucarsi ad una festa. Soprattutto perché non è stata la sofferenza a camuffare la mia identità sotto false nome, bensì l'alcool. Se potessi tornare indietro eviterei di sbagliare? No, no perché qui sono tutti talmente felici che per un momento credo di poterlo essere anche io. Forse lo sono davvero. Ho voglia di ballare e prima che possa ripensarci i miei piedi ondeggiano fra l'anca di uno sconosciuto e l'altro. So che domani me ne pentirò o che, ancora peggio, lo sguardo rammaricato di mia madre mi darà da pensare che la giovinezza sia un peccato anche solo immaginarla, ma per stasera voglio che tutto resti così. Sospeso. Leggero. Ingiustificato.

Non so su quale canzone decida di sedermi. So che mentre rimbombava Stayin' Alive le ginocchia hanno iniziato a crollare, ed è stato almeno quattro brani fa. Lo sgabello non era più solo invitante: era una necessità. La bottiglia di vodka è più vuota dei miei polmoni e non so se sia più contenta o delusa, so che la prima opzione è ciò che rimane del timore per domani mattina, mentre la seconda è ciò che mi ha condotta qui.

«Non si riempirà col potere dello sguardo.» Una risata, oserei direi amichevole, mi punzecchia mentre sono intenta a scoprire chi delle due avrà la meglio.

«Come, scusa?» Scuoto la testa con la stessa energia che usavo in pista, il che sfoca ancora di più l'immagine già frammentata dalle luci stroboscopiche.

«La bottiglia. È finita. Ti conviene cercarne un'altra.» Invece di alzare il tono, approssima le labbra al mio orecchio. Fa rimbombare qualcosa dentro di me con più vigore della musica.

«No, non importa.» Sorrido flebilmente, distaccandomi per osservarla meglio da vicino. Si, invece importa eccome. «Io ho già bevuto.» Mi limito a soggiungere, e per qualche ragione -davvero io non saprei indicarne una- scoppia in una riso fragoroso.

«Questo l'ho visto.» Annuisce e anche se si trova ad un palmo da me, sono quasi sicura che si sia avveduta quando eravamo molto più lontane di così.

Un brivido mi scivola lungo la spina dorsale. Ogni goccia di sudore accumulata per la frenesia, si raffredda sulla mia pelle. Il semplice fatto, il solo pensiero, che abbia potuto tenermi d'occhio più a lungo di quanto ne abbia coscienza mi prosciuga gola. Non sono abituata ad essere vista. Figuriamoci osservata.

C'è un altro sgabello inutilizzato accanto a me. Si siede. Non ha intenzione, dunque, di andarsene a breve.

«Come mai sei qui?» È una domanda generica, quella che prima o poi fanno tutti, in un modo o nell'altro, ma per me, che non sono mai generica in ciò che racconto, potrebbe essere la porta su una conversazione deludente. E stavolta "deludente" non è in accezione positiva.

Comprimo la mia risposta in un laconico: «Non avevo niente di meglio da fare.»

Non capisco perché debba sorridere ad ogni cosa che dico. Sono tanto ubriaca da non rendermi conto quanto mi stia ridicolizzando o questa ragazza è una psicopatica o qualcosa del genere? Perché nessuno sorride tanto e soprattutto senza motivo. Aggiungiamoci anche il fatto che mi abbia osservata tutta la sera... Sarebbe davvero frustrante essere capitata nelle mani di un'omicida: a quel punto dovrei dare ragione a mia madre sulle feste e gli sconosciuti, e, vi prego, no.

«Immagino che ti abbia invitato Lauren!» Fa un cenno della testa verso una ragazza alle mie spalle. Mi volto solo perché se rispondessi subito incespicherei più del previsto.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora