There's things I wanna say to you,
But I'll just let you live.————
Non ho niente da dimostrare, non ho niente da dimostrare. Me lo devo ripetere ogni notte quando la porta di camera si schiude cigolando e i passi ovattati non occultano i gesti goffi. Solitamente, si rompe sempre qualcosa quando Lauren rientra in dormitorio, e non parlo solo dei cocci sul parquet.
«Merda.» Impreca sottovoce e non so se stia litigando con la sua ombra, se abbia perso qualcosa mentre rientrava barcollando o se abbia urtato involontariamente un livido fresco fresco.
Non alzarti, dormi, fai finta che i tuoi sogni siano troppo belli per interromperli. Ma lei sa che cederò, sa che non la lascerò a maledire l'ombra senza offrirle un po' di luce. Di nuovo un tonfo attutito rimbomba nella stanza e i suoi improperi aggrediscono la notte. In questo silenzio imperfetto la tensione non farebbe dormire neppure un morto. Sa che sono sveglia, so che dirà di non voler creare disturbo, ma so anche che non può farcela da sola, che sta cercando di dimostrare proprio questo, ma si ostina a cercare la forza nel male perché il bene non sa curarlo.
«Cazzo, cazzo...» All'ennesimo scioglilingua mi alzo di scatto e accendo la luce.
«Non é possibile, Lauren.» Sbotto, ma mi sto già dirigendo verso l'armadietto delle medicine perche entrambe sapevamo come sarebbe finita.
«Scusa, non volevo svegliarti. Scusa, scusa, scusa.» Tenta di afferrarmi, ma le sfuggo e allora porta le mani prima sulle labbra, poi sulla fronte e infine sulle mani; non sa più che farsene di sé stessa, é per questo che ci sono io.
É solo quando mi volto che noto il rivolo scarlatto sulla sua tempia, le mani sporche di sangue rappreso. Non so neppure se voglio chiedere, ho imparato che certe cose é meglio non saperle mai se non vuoi farci i conti per più tempo di quanto sarebbe giusto.
Mi guarda con aria colpevole e affranta: «Mettiti a sedere.» Le ingiungo. Mi provoca un effetto strano vederla cadere sul mio letto, invece che sul suo, come se fosse più naturale.
Mi sistemo di fronte a lei, a gambe incrociate e intingo un batuffolo di cotone nell'alcol. «Farà...»
«...Male, lo so.» I gesti sbrigativi mi fanno intendere che glielo ho già ripetuto cento volte e che ormai non c'è più bisogno di metterla in guardia da quello che conosce, ci va incontro consapevole.
Senza ulteriori indugi, premo il batuffolo sulla ferita e non so se si mi soddisfi o mi dispiaccia la sua smorfia di dolore, ma non traggo piacere sapendo che non basterà la sofferenza a tenerla lontana dal prossimo dolore, anzi, a volte a penso che si spinga tanto oltre proprio perché può dormire solo su una cicatrice.
«Non ho cominciato io. Alex e gli altri...»
«Non voglio saperlo.» Taglio corto, schivando deliberatamente i suoi occhi perché io, al contrario, dalla sofferenza fuggo, mi nascondo, divento ombra nella sua ombra.
Apre la bocca, ma non dice niente. So che la mia freddezza la ferisce, ma ho bisogno di difendermi. Fra quello che é giusto e quello che vorrei, non posso scegliere la seconda, altrimenti poi chi le curerà le prossime fritte? Se dovessi amarla, non potrei più perdonare. No, mi correggo. Se dovessi dirle che l'amo, si sentirebbe giustificata in ogni suo livido, così mi mangio la voce. E me la mangio anche per un altro motivo, perché non sono sicura che non finirei per avere gli stessi ematomi se permettessi a me stessa di dire ti amo a qualcuno che sta cercando di morire.
«Comunque non è colpa mia.» Borbotta abbassando lo sguardo.
Ho già il suo mento fra le dite, devo solo indirizzarli verso i miei occhi per dirle: «Non importa di chi sia la colpa, é comunque stupido.» Riporto il suo viso inclinato per terminare di tamponare la zona contusa.
STAI LEGGENDO
One shot Camren
FanfictionOne shot Camren Comprenderanno anche alcuni capitoli "interattivi" e capitoli riguardanti storie presenti sul mio profilo (come fight back, she loves her etc...)