I See You

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Non si ricordava l'ultima volta che ero successo, ma riviverlo era sempre uguale alla prima.

Chiunque avrebbe pagato oro per conoscere il proprio futuro, ma chi avrebbe sborsato tanto per conoscere il destino degli altri? Nessuno, perché non esiste uomo che abbia desiderio di assumersi la responsabilità per le scelte altrui. Forse non esisteva "uomo" tanto abile, ma una donna si. Lauren non si appellava mai al suo dono definendolo "abilità", però. Era la sua condanna, l'ergastolo che un giudice imparziale le aveva comminato solo per il reato di vivere.

Vedeva attimi fugaci, ma pregni di fatalismo. Sua nonna sarebbe morta se le avessero dato quella medicina, perché nessuno sapeva che era allergica alla componente del farmaco. Il bambino di cinque anni che viveva alla porta accanto e che a malapena aveva salutato sarebbe stato investito se Lauren non lo avesse già previsto. Bastava un tocco e le vite degli altri divenivo sua responsabilità, il destino non sfuggiva alle sue mani, era lei a tessere una trama già scritta ma con un finale diverso.

Era per quello che non toccava più nessuno. Non le sue amiche, non i suoi famigliari, si teneva dalla parte opposta del marciapiede per non sfiorare nemmeno uno sconosciuto -soprattutto uno sconosciuto.

Aptofobia, così l'avevano descritta gli psicologi a cui si era presentata ogni due settimane per quasi due anni della sua vita per alleggerire il senso di colpa che sua madre si portava addosso per quella volta che le aveva tirato uno sculaccione di troppo, o magari l'aveva strattonata senza rendersene conto. Tutte le volte che guidava per tornare a casa, immersa in un silenzio che parlava da solo, Lauren serrava per i pugni per non dirle che non era colpa sua, non poteva essere migliore nel ruolo di genitore, ma purtroppo era lei che era sbagliata come figlia. Era nata con una particolarità che nemmeno un eroe con un mantello vero e proprio avrebbe voluto.

Quindi, il suo rifiuto di farsi toccare era stato catalogato, certificato e documentato. Adesso, quando camminava per i corridoi scolastici, transitava a un metro dalle persone, anche se non ce ne era bisogno dal momento che nessuno si avvicinava alla squilibrata che camminava sempre con la testa bassa ma non si accorgeva mai di avere le scarpe slacciate. Loro non sapevano che inciampare sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi. Ma anche lei dovette ricredersi quella mattina, quando per una volta il destino le ricordò che comandava ancora lui. Il piede fece un passo falso e invece di rovinare a terra andò a sbattare contro la spalla di qualcuno, che per come la respinse all'indietro evidentemente era di fretta.

«Scusa, cazzo...» Mormorò desolata l'altra, ma con lo sguardo basso sui libri che stava cercando di raccogliere più rapidamente possibile.

«Niente, colpa mia.» Articolò impacciata Lauren, che non rivolgeva la parola a qualcuno da troppo tempo per capire quando i convenevoli fossero d'obbligo.

«No, davvero, stavo...» La ragazza alzò distrattamente gli occhi, ma non fu certo per errore che li lasciò sfarfallare più del dovuto dentro quelli dell'altra. «Io ti conosco.» Disse infine, e le illusioni che Lauren si era concessa per pochi attimi di sospensione sfumarono nelle sue parole.

Già, sono quella strana che non tocca nessuno... Anticipò il suo subconscio sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo.

«Sei la ragazza che sta sempre in fondo a geomatria analitica.» Il sorriso genuino dell'altra entrò in contrasto con il cipiglio di Lauren, che per una volta era stata sorpresa a sbagliarsi. A quanto pareva non era poi così veggente, o forse il destino aveva deciso non solo di ricordarle qualcosa, ma di insegnarglielo direttamente.

«Io.. Credo di sì, credo di essere lei...» Adesso le fu impossibile non socchiudere le palpebre, maledicendosi per la sua spiccata marginalità sociale.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora