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Credo sia passato abbastanza tempo per poter parlare di questa storia senza che nessuno obietti. Nessuno compresa me stessa. Posso raccontare con sincerità ciò che è successo davvero perché non ho bisogno delle rassicuranti bugie per approdare a riva. Niente salvagente. Ce la faccio da sola, grazie. So nuotare. E in caso non avessi abbastanza energia come credo, beh, tranquilli: so anche annegare.

Il problema nel raccontare una storia è che si chiede anche la partecipazione altrui per renderla viva. Quindi non so se voi sappiate o possiate nuotare così forte e così a lungo. Potete pur sempre galleggiare, ma a quel punto non avrà senso. Non avrà senso nemmeno affondare. Fate un po' voi, almeno due bracciate provate a darle. A immergere la mano nella densità di questo mare abissale e a chiedervi quanto poco a fondo effettivamente vada il vostro corpo nel moto della terra. Solo le onde vi investiranno davvero e lo faranno solo per ricondurci a riva. Continuare a nuotare è l'unico modo per vivere oltre questa storia.

Comprammo quella nuova casa quando non avevamo più niente nell'altra che valesse la pena di ricordare. Era una casa grande, una di quelle che tutti vorrebbero per i propri figli e nipoti. Gli interni erano un po' fatiscenti e disadorni, ma la facciata immacolata attirava molti sguardi. Oggi credo che la comprammo solo perché ci sentivamo proprio come quell'abitazione: vuoti ma belli da vedere. E lo eravamo davvero.

Mio marito era il ragazzo più desiderato della scuola, eppure il suo unico desiderio ero sempre stata solo io. Il perché non l'ho mai capito. Non prima di averlo sposato almeno. Gli sono sempre piaciuta. Non ricordo un solo giorno in cui non lo abbia intravisto sbirciarmi mentre riponevo i libri nell'armadietto. Ma allo stesso non ne ricordo nemmeno uno in cui abbia contraccambiato quell'occhiata. E solo dopo aver indossato la fede ho capito Perche quella ragazza schiva e introversa che ero si ostinava a camminare a capo basso quando gli camminava affianco. A Shawn piaceva tutto ciò che poteva conquistare, ma una volta ottenuto si dimenticava perché avesse faticato tanto per ottenerlo. Quindi, dopo pochi anni dal nostro matrimonio (ma forse anche prima, mi piace solo illudermi che sia passato più tempo di quanto creda)  mi ha depositata sullo scaffale accanto ai suoi trofei di basket. Gli stessi che poi ha sparpagliato sulla bancarella di nostro figlio al primo mercato di quartiere. Si disfaceva di ciò che aveva amato perché probabilmente non aveva mai ottenuto in cambio lo stesso amore. E lo stesso era successo con me. Adesso era lui a scansare i miei sguardi, solo che lo faceva transitando per la cucina di casa nostra. Non eravamo più nei corridoi del liceo, ma non avevamo mai smesso di comportarci da liceali. Ci eravamo solo scambiati i ruoli. Vuoti. A dispetto di ciò, eravamo l'orgoglio dei nostri genitori, gli esempi dei nostri figli, l'invidia del vicinato. Eravamo la famiglia perfetta, la coppia più bella. Non andavamo mai ad un evento senza abbinare i colori dei vestiti e nessuno dei due si sognava di non sorridere quando si complimentavano per gli arredi o per la felicità duratura del nostro matrimonio. Quegli erano gli unici attimi in cui ci guardavamo negli occhi e ci riconoscevamo per ciò che eravamo: due bravi bugiardi che sapevano mentire anche dormendo nello stesso letto. Belli da vedere, sempre, ma vuoti.

Tutto cambiò quando una Range Rover si fermò nel giardino prospiciente al nostro. La casa era rimasta disabitata per non so quanti anni, ma le tende non erano mai state tirate da quando risiedevamo li. Stavano per arrivare dei nuovi vicini e già mi immaginavo di dover sfoderare il miglior sorriso e pretendere di essere la madre e la moglie più contenta di tutto il vicinato, quando le mie aspettative vennero annullate da un semplice sguardo. Due bambini correvano felici, il padre teneva la porta aperta per loro mentre la madre barcollava sul selciato con uno scatolone in mano. Non so perché ma improvvisamente decise di lasciarlo in mezzo al vialetto, Forse era troppo pesante per lei, e tornò indietro verso l'auto a sceglierne un altro. Fu in quel momento che alzò il viso e puntò i suoi occhi verdi sulla mia finestra. Su di me. Inizialmente rallentò il passo. Si sentì osservata e questo non piace a nessuno. Ma poi mi fissò dritto negli occhi ed entrambe sapemmo che stavamo condividendo lo stesso fardello, solo sotto un tetto diverso. Non c'è una sola ragione nella mia vita che mi abbia fatto pensare il contrario. Nemmeno ad oggi, dopo tanti anni da quella vicenda, ho mai smesso di credere che in quella frazione di pochi secondi ci riconoscemmo per ciò che eravamo: l'una il riflesso dell'altra. E già allora diventammo amiche, confidenti. Con quel mezzo sorriso che mi accennò e quel saluto stentato che sventolai prima di tornare a lavare i piatti. So che lei continuò a guardare la mia finestra a lungo. Io feci lo stesso con la sua. E per molto tempo ho creduto che fosse rimasta dietro le tende, forse per mesi, prima di uscire allo scoperto, attraversare la strada e venire a suonare alla mia porta.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora