Un fatale giorno per non morire

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Non ricordo bene i fatti. Se ammettessi il contrario mentirei, e dato almeno davanti alla morte sarò totalmente sincera.

Quando l'auto ha sbandato, ho sterzato d'impulso, come se potessi in qualche modo controllare ciò che sarebbe successo dopo, ma i vetri si stavano già infrangendo, il mondo era divenuto un fascio di colori indefinibili che vorticavano su se stessi. Macchie di luce, macchie di sangue. Ma in realtà c'era una sola cosa a vorticare ed eravamo noi.

L'auto si è cappottata, si è avvitata su se stessa ed è tornata a capovolgersi, ma ho capito che non era finita lì. Le ruote si sono sbilanciate ancora una volta e ancora una volta siamo state sballottate fra vetri, cemento e acciaio. Non so quale dei tre abbia fatto più male, ma nessuno dei tre è stato inclemente. Per un attimo, come se fosse quello il problema principale, ho temuto che la macchina non si sarebbe più assestata, che saremmo rimaste schiacciate sotto il peso del tettuccio accartocciato, invece ha compiuto un'ultima giravolta ed è tornata con le ruote per terra. Non era più la stessa auto di prima, e nemmeno noi lo eravamo.

Ho inspirato a pieni polmoni, stringendo saldamente il volante. In realtà non avevo mai lasciato la presa: quando tutto si sgretola, aggrapparsi è istinto. Ciò che avevo dimenticato, invece, in un secondo di shock, era che nell'auto non ero mai stata sola. Mi sono girata di scatto verso il sedile del passeggero. Camila aveva gli occhi aperti. Sbarrati, ma aperti.

«Stai bene?» Ho chiesto prima a lei e poi a me stessa.

Annuì a fatica, confusa. «Si, sto bene.» Disse togliendosi una scheggia di vetro dalla mano.

Sanguinava e la parte peggiore era che non ci fosse un solo lembo di pelle che non fosse tagliato, bruciato, percosso. Per fortuna parevano ematomi o graffi lievi. "Lievi" in confronto a ciò che sarebbe potuto succedere.

«Non l'ho visto spuntare.. Lui... Andava troppo veloce...» Ricordo di aver farfugliato, mentre delle immagini baluginavano davanti ai miei occhi, ma troppo sovrapposte o frammentate per essere attendibili.

«Non importa.» La mano di Camila si era poggiata sulla mia, ancora stretta sul volante. «Cerchiamo di raggiungere l'ospedale più vicino. Al resto penseremo dopo.» Non ci avremmo più pensato. Lo sapevamo entrambe. Eravamo state abbastanza fortunate da uscirne vive, non ci saremo uccise ricordando. Preferivamo dimenticare. Tutte e due.

«Si.» Girai le chiavi, ma a parte un borbottio nebuloso l'auto non ci aiutò in altro modo. «Maledizione.» Colpii il cruscotto, ma non servì a niente. Aveva attutito gli urti per noi, non potevo aspettarmi molto.

«Chiamo il 911. Ci penseranno loro.» Mi rassicurò Camila, che ancora si muoveva e parlava meccanicamente, come se avesse aperto gli occhi, sì, ma non sulla realtà. Era lontana e disorientata, ma forse era solo la paura. Non c'è sentimento che crei maggior distanza e smarrimento, a parte l'amore quando diventa odio.

L'ambulanza arrivò sul posto in fretta, ma a sirene spente. Non c'era traffico di cui sbarazzarsi a quell'ora di notte e soprattutto aver ricevuto la chiamata direttamente dalla vittima aveva rallentato le operazioni. I sorrisi dei paramedici mentre mi esaminavano le contusioni mi rincuoravano. Ma non comprendevo perché ci fosse comunque tanto baccano. L'auto era distrutta, si sapeva, ma c'era bisogno di urlare tanto?

«Ho un gran mal di testa.» Protestai, ma invece di diminuire il tono della voce mi fecero semplicemente distendere.

«Non preoccuparti, è solo la botta.» Il sorriso tiepido non era comunque rassicurante. C'era qualcosa da festeggiare, ma qualcos'altro distraeva e attardava le celebrazioni.

«Dov'è Camila?» Tentai di alzarmi, ma la mano del paramedico, asettica come la sua indulgenza, mi ricondusse verso il lettino.

«È sull'altra ambulanza, non preoccuparti. La rivedrai dopo i controlli.» Non mi elargì nemmeno un sorriso. Pareva quasi infastidito dal nostro incidente, come se fosse stata una scorribanda più che una sventura. Nemmeno io avevo piacere di come si era conclusa la giornata, guardando quel suo viso butterato e incattivito, ma non avevo la sua forza per mostrarlo. Attraverso i graffi emergevano solo smorfie.

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora