C'è un punto, una spaccatura nel Mondo che divide ciò che distrugge da ciò che ci nutre. Questo é la sua spina dorsale per me. Con le dita cammino sulle sue vertebre e ogni vuoto non intimorisce la mia carezza tanto da renderla svelta, anzi: é proprio la fatica di risalire la collina a rendere il dirupo puro divertimento.Le braccia incrociate sotto il mento. I gomiti a squadrare gli angoli della stanza, le mani a contenerla. La febbre ricomincia se penso che quei palmi hanno contenuto poco prima il mio viso per dipingerlo con i suoi gemiti. Mi ha reso la sua stanza. Ora non ho quattro arti, ma sono quattro pareti.
Piega il collo quando l'indice le sfiora la spalla, come se il mio tocco le impedisse di sottrarsi allo struggimento. Due ore fa non sapevo niente di lei, ma adesso mi pare impossibile averla vista nuda r non conoscere le crepe del suo cuore. C'è qualcosa in lei che si piega più del corpo che ho baciato e non sono sicura i miei baci siano giunti fin lì, ma se lei potesse mostrarmi gli spiragli, io farei di tutto per gettarci non dico il mio nome, ma quantomeno un'eco. Qualsiasi ricordo le permetta di tenere insieme le fondamenta al prossimo terremoto che minaccerà le sue crepe.
Lei però sta in silenzio. Vuole che continui ad accarezzarla, ma penso sia più facile morire che far scendere la mano sulla sua pelle un'altra volta. Almeno morire avviene tutto assieme e dopo più nulla. Sfiorarla é un vizio che non diverrà virtù, ma dipendenza e dopo non sarà il nulla a confortarmi, ma il tormento. Non so più chi sono quando mi tormento, perciò o stacco ora la mano o sono finita. La mia epidermide abbandona la sua. Ne sento già la mancanza. Male. Molto male. Devo smorzare. Smussare. Dimenticherò che questa curva prima era spigolo e ringrazierò di non averci sbattuto mentre puntava contro di me. Ci voglio scivolare attorno, un lungo scivolo.
Scivolo fuori dal letto. Le coperte si smuovano e lei mugola. Non fa freddo, però l'estate é appena iniziata, dunque non fa nemmeno troppo caldo a quest'ora di notte. Vorrei chiederle scusa, ma se parlarsi spezzerei l'atmosfera che si é creata, ma mi illudo. La Luna non si eclissa solo perché qualcuno torna a casa piangendo, figuriamoci se questa serata possa rovinarsi per una parola. Comunque non la pronuncio. Ci sono rischi nella vita che non impariamo a correre mai. Chissà quante corse mi aspettano oltre il quale inizio non gareggerò mai. Non mi dispiace perdere, però é terribile sapere di poter vincere e non fare niente per arrivare primo. Mi sento un po' così stanotte. Ho dato molto, ma non tutto, perché in qualche modo mi accontento di un secondo posto nella sua memoria, ma se perdessi anche quello sarebbe il vero dilemma. Se domani mattina fosse ancora qui, sarebbe invece una vera e propria tragedia. Non riuscirei a sorridere di una medaglia d'argento e punterei all'oro su una pista senza fine. E credetemi: conoscendomi correrei anche all'infinito, ma perché consumarsi le gambe per una gara senza vincitori né vinti? Meglio perdere subito e amen.
Non accendo neppure la luce. Ho paura che il bagliore disturbi l'incantesimo dell'oscurità. Non voglio questa notte finisca e anche se sta già volgendo al termine, manterrò il buio il più a lungo possibile. C'è chi odia nascondersi, ma io so di trovarmi proprio dove ogni penombra eclissa ogni mia scintilla. So accendermi solo al buio, so far luce solo in stanze nere. Mi piaccio così. Probabilmente, alla luce del Sole, non sono completamente me stessa. Riservo la verità alla notte. A questa in particolare. Mi pare sia più facile mettersi a nudo sotto un cielo abituato allo spogliarsi.
Il filo interdentale non lo uso mai, ma lo tengo sempre nell'armadietto del bagno perché ho l'impressione che più di una conquista apra quest'anta alla mattina e tutti ritengono di essersi addormentati nel letto giusto se scovano il filo interdentale nel bagno di uno sconosciuto. Io in mezzo ai denti ho incastrato solo parole non dette. Alcune sono lì da così tanto tempo da esser divenute sillabe. La lingua stimola la fessura dei canini ed io sento urlare frasi mai pronunciate, rimaste incagliate lì come barche alla deriva in un mare pieno di scogli. Nel pertugio degli incisivi sciabordano più bottiglie di vetro che navi, messaggi strappati a forza dal cuore ingoiati solo a metà. I molari conservano quelle parole che avrei tanto voluto dire, ma era sempre troppo tardi; le ho tenute in bocca solo per ricordarne il sapore. Mentre sorrido allo specchio penso che la sua lingua è scivolata in mezzo a tutti quanti. Chissà se ha udito il suono di qualche parola, se una lettera o due le ha disincagliate e ora hanno il mio sapore nella sua bocca. Mi lavo le mani e sciacquo il viso. La pelle benedetta dai suoi baci poco giù conserva ogni tentazione. Si è assicurata di graffiarmi per rendere ogni confessione meritevole di un nuovo peccato. Non sarò mai degna di un perdono completo, ma non mi dispiace scontare questa pena. Meglio continuare ad essere che fingere di potersi rammendare. Amen.
Quando torno di là, non è più supina ma prona. Fissa il soffitto con l'aria di chi sta facendo qualcosa di troppo importante per essere disturbato. Mi stendo al suo fianco senza dire niente. Anche stanotte ho contratto un debito con le parole e probabilmente questo finirà fra gli incisivi, l'insenatura nella roccia più morbida di tutte. La finestra aperta permette alla brezza di scuotere la tenda e anche se la sua pelle si screpola di brividi e la mia si squama di bordoni, siamo immerse in un istante del tempo troppo distante dai nostri corpi per curarci del loro sentire.
Lei mugola qualcosa. Mi chiedo se avverta il mio sapore e se lo ha già perso spero almeno lo ricordi. Ho come l'impressione che non toccherò più le sue labbra, non stasera quantomeno. Prima servivano per succhiare, ora per suggellare. Prima erano armi, ora strumenti. Ha sparato molte pallottole nella mia gola, gemiti che sembravano cannonate; adesso la linea rosea del suo monte sembra innocente e incapace di sferzarmi. Al massimo può venir a cantare sulle rovine del mio piacere, tanto questa città l'ho eretta solo per permetterle di abbatterla come meglio credeva.
Si volta verso l'orologio. Dice che fa tardi se resta ancora qui, ma non si muove. Si, mi mancherà il calore del suo corpo quando sarà andata via. Non ci sarà più niente a schermare l'alito della prima rugiada. Dovrò vedermela da sola con l'ultimo furore della notte. Mi è sempre piaciuto salutare la notte solo con la mia mano, ma stasera non mi dispiacerebbe tradire il mattino con una presenza in più. Forse stanotte l'ombra è ombra anche per me, e trovo sollievo nella luce, forse per la prima volta, perché al suo fianco sento di aver trascorso ore di interminabile buio in cui ho rischiato molto più di quanto abbia in tasca.
Si alza. Se ne sta andando. Dovrei essere felice. Lo sono, certo. Ma se ne sta andando.
Mi saluta. Forse ci rivedremmo, dice. No, non credo, penso, ma annuisco perché sono stati baci troppo carnivori i nostri per tremare di fronte ad un lungo congedo. Schiocca la lingua sulle labbra. Si, riconosco il suono delle mie stesse parole. Anche lei adesso ha delle barche in mezzo ai denti, ma non le chiedo di farle salpare perché sono le mie; preferisco tenga qualcosa di mio piuttosto che lo lasci a me.
Se ne va di fretta, non si volta. Non volevo si voltasse, sarebbe stato più tragico di quanto in realtà è, però la sua schiena la conosco bene, avrei voluto mi permettesse di conoscere bene anche il suo viso, invece dovrò ricordarlo sfumato in mezzo ad un pallore di pelle o luna. Vabbè. Meglio chiudere la finestra.
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One shot Camren
FanfictionOne shot Camren Comprenderanno anche alcuni capitoli "interattivi" e capitoli riguardanti storie presenti sul mio profilo (come fight back, she loves her etc...)