Nelle famiglie senza amore, crescono figli senza cuori.Dovunque vi sia un vuoto, vi é una ragione per riempirlo. Ognuno colma i propri vuoti con ciò che più ingombra gli spazi: l'horror vacui del cuore.
Il vantaggio é non sperimentare mai la sconfitta. Lo svantaggio é non sapere mai cosa si é perso.
E io sono così. Non sono stata amata e non ho dato amore. Avevo una rosa fra le mani e ne ho stropicciato tutti i petali perché per me rosso é solo il colore del sangue. Le sue spine mi hanno insanguinata, ma io ho sbriciolato ogni suo colore: chi é il vero assassino?
Io non volevo uccidere nessuno, ma nemmeno morire da sola.
E Camila non avrebbe mai dovuto appassire fra le mie dita, ma le mie mani sono state fatte per peccare e non ho saputo resistere alla bellezza senza sciuparla. Ma, mentre lei mi avvizziva sul palmo, ho scoperto un segreto, un trabocchetto che probabilmente solo la morte poteva svelarmi: in ogni vuoto la voce giusta diventa eco. E io la sento ancora chiamarmi. Non ho un cuore, ma ho la sua voce dentro. Batte lo stesso, c'è lo assicuro. Batte lo stesso.
Mentre mi sposto fra la gente, cambio marciapiede per ingannare le traiettorie, percepisco il mio nome e mi volto a scrutare, scoprendo che, in verità, sto scrutando me stessa. Succede più spesso di quanto sia lecito ammettere, così ho disimparato il mio stesso nome e mi sono fatta sorda e ho camminato solo in avanti e ho avuto spalle solo per promemoria.
Ma se il passato ci sta dietro e proprio sulla schiena indossiamo la spina dorsale, si può dire che stia in piedi retta da ricordi? E dunque come si sfugge ai propri passi?
Lauren.
Quando una domanda difficile mi sovverte la giornata, la sua voce si fa più forte. Ho letto che ogni vittima tormenta il proprio assassino. Due vite in una. É così che funziona: tutto ciò che spezzi diventa il tuo amuleto.
Lauren.
Non mi volto. So che non devo farlo e sono brava a seguire i miei principi, a impedirmi ogni piccola gioia nella più grande distrazione.
«Lauren!» Una mano mi afferra e mi strappa al mio esilio.
Ve l'ho detto, non si scappa da ciò che si ha dentro perché, più lo nascondi, più la sua trasparenza si farà carne.
«Camila?» Non é cambiata dall'ultima volta, ma non ricordo quando sia stata. Il tempo confonde se stesso quasi si odiasse più di noi.
«Che..?» Scuote la testa incredula. Anche lei sta guardando un fantasma, ma sono sicura i nostri spettri siano molto diversi. «Non ti eri trasferita?»
«Si, ma sono tornata.» Non é del tutto vero. Per tornare dovrei avere più di un corpo da spostare, invece ho lasciato parte di ciò che era mio in chissà quale angolo del suo letto e il suo letto, adesso, ospita braccia che hanno saputo stringerla senza sfiorirla.
«Ah.» Lo spaesamento sul suo volto non mi sorprende. Mi ricordo cosa mi disse quella sera, mentre piangeva e io non la guardavo, e lei smise di compiacermi solo per sussurrare un "tu non torni su i tuoi passi, io non torno su i miei. Siamo spacciate."
Sbagliavi. Vorrei dirle adesso, ma adesso mi osserva dritta negli occhi. Non c'è esitazione perché il suo imbarazzo non ha più vergogna. Non é più costretta a condividere silenzi obbligati in una stanza piena di parole che erano promesse prese alla leggera. Lei non prende le cose alla leggera. Questa bilancia fra di noi, il piatto che cadeva sempre dalla sua parte, ora entrambi in perfetto equilibrio. La piuma di Anubi peserebbe più di un quarto della sua anima.
«Ogni città diviene stretta se i tuoi vicini sono i tuoi genitori.» Ammezzo un sorriso. Che dici, facciamo finta di essere amiche? Lei accetta l'offerta. Non le piace fingere, ma ancor meno mostrarsi ferita oltre il tempo di guarigione.
É passato un anno dall'ultima volta che ci siamo salutate. Non sa più niente di me, dunque gioca con accortezza. Nemmeno io so più niente di lei, perciò il suo potrebbe anche non essere un gioco. Questa partita é ancora aperta o nessuno ha vinto? Vorrei chiederglielo, ma i convenevoli ci invischiano. Ora siamo questo: due conoscenti che scambiano due parole su vite che un giorno si sono sfiorate ma ora non si toccano più. Ed é colpa mia, ne sono consapevole. Non sa quello che farei per sentire di nuovo la sua mano sul mio braccio, ma ci servirebbe una scusa plausibile e di solito non si ha mai il tempo di inventarne una in queste brevi circostanze.
«Ma dai, mi fa piacere saperti nei dintorni.» Strascica le parole con un sospiro poco convincente. Sono più un peso che una buona notizia, ma continuiamo a fingere un sorriso.
«Anche tu vivi ancora qui o..?» Smuovo circolarmente la mano. In quale parte del Mondo devo venire a cercarti?
«Sto ancora qui.» Incassa le spalle. Forse ora un po' si vergogna. Aveva dei sogni e ora non li ha più. Non li ha inseguiti, si é fermata prima. Ha scelto la valle di nessuno alla valle delle lacrime e in questo siamo simili, dunque é lì che possiamo rivederci. «Ma non sto male!» Si affretta a soggiungere con una rapidità che sottintende una bugia. Non sta male, ma non é nemmeno dove vorrebbe essere. Forse adesso sarebbe un momento ideale per sfiorarla, ma sembrerebbe troppo desiderato, un ansito troppo palese per non resuscitare i morti.
«Beh..» Osserva l'orologio e poi la strada. No, non sta andando via. Sta aspettando qualcuno. So già chi. Certe cose non serve chiederle se la tua vita é un magazine. Forse non dovrei dirlo, ma siamo oltre i doveri e i voleri, abbiamo superato quei tempi ed é vero che siamo infangante nelle forzature, ma non abbiamo niente da perdere.
«Anche Shawn é qui?» Non so con quale faccia tosta ponga una domanda tanto spavalda.
Gira di scatto la testa vera di me. Vorrei tanto sapere cosa si nasconde dietro quei occhi, in quali luoghi cammina dietro le palpebre, ma invece mi soffermo alla sua espressione sbigottita. La stessa di sempre d'altronde. Non le é sfuggito il tono tagliente con cui cui ho mozzato il suo nome. Lo facevo sempre e so che lei non lo ha dimenticato, la sua faccia me lo sta dicendo con ogni muscolo. Fa finta di niente. É bravissima a pretendere di non ricordare.
«Si. Anche lui é qui.» Inclina leggermente la testa. Mi hai costretto tu, sembra voler dire. Non era così prima, quando sospettavi lo fosse, ma tu hai voluto questo e io, forse con un po' di cattiveria, te l'ho consentito proprio per ferirti dove ancora il coltello non aveva toccato l'osso e poteva smembrare qualche centimetro di carne.
Annuisco lentamente, forse la squadro e lei non abbassa lo sguardo. É il momento di andar via. Questa città enorme si sta riducendo a quattro pareti che conosciamo molto bene e abbiamo varcato quella soglia tempo fa. Una soglia senza porta.
«Devo scappare.» Dico. Lei annuisce con un sorriso sornione: lo fai sempre. Io sogghigno: lo faccio sempre, ma finisco comunque qui.
«Certo. Ci vediamo in giro allora.» Ho come l'impressione che le strade siano appena divenute un unico incrocio.
«Ciao, Lauren.» Mi fissa senza voltarsi. Va' via tu, dimostrarmi che sai ancora farlo. L'ho uccisa in questo modo e lei vuole farmi provare la stessa morte senza però infliggermela.
«Ciao.» Non ho il tempo e il coraggio di pronunciare il suo nome. Mi allontano più in fretta di quanto vorrei e rendo la mia fuga evidente. Non importa. Ho fatto di peggio.
Lauren, Lauren. Vi assicuro che batte lo stesso, a volte anche con più forza.
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One shot Camren
FanfictionOne shot Camren Comprenderanno anche alcuni capitoli "interattivi" e capitoli riguardanti storie presenti sul mio profilo (come fight back, she loves her etc...)