«Quando é stata l'ultima volta che hai fatto davvero quello che volevi fare?»Io la guardo. Lei mi guarda. Nemmeno essere qui é una mia decisione, ma una necessità. Almeno che la voce nella mia testa non sia divenuta la mia volontà.
Quanto é breve il passo fra il volere in quanto oggetto e il volere in quanto raziocinio? Ho come l'impressione che ciò che desideriamo divenga, prima o poi, il modo in cui pensiamo, agiamo, parliamo. Più stai lontano da ciò che vuoi, più quella cosa ti possiede. Ma quando stai a distanza da ciò che sei, chi é il tuo padrone?
Scuoto la testa, intimidita e imbarazzata. Ho paura di affrontare il tempo ripercorrendolo indietro e avvampo all'idea di quantificare il baratro in numeri. É molto più facile quando la grandezza della voragine non é categorizzata.
«Non me lo ricordo.»
«Balle.» Il sibilo gelido é inconfondibile. «Lo sai, ma hai paura di tutto ciò che ricordi.»
«É stato tanto tempo fa, comunque.» Non so a chi stia rispondendo delle due, ma sto cercando di sbarazzarmi di entrambe in un colpo solo.
«Prova a sforzarti. É importante riconoscere il momento in cui perdiamo noi stessi. É il primo passo per venirsi incontro.» La dottoressa si aggiusta gli occhiali sul naso e io penso solo che vorrei romperglielo. Il suo sorriso affabile mi fa sentire solo peggio. Adesso abbisogno dell'accondiscendenza degli altri per essere coraggiosa? No grazie.
«Ho detto che non lo so.» Suono più scorbutica di quanto vorrei, ma quando le cose si mettono male ergo un muro sopra le mie crepe.
La dottoressa occulta malamente un sospiro. É la terza settimana, forse la quarta, che resisto alle sue pressioni. Vorrebbe aiutarmi, ma io non so come accettare ciò che potrebbe salvarmi solo attraverso il dolore. Si guarisce solo con la ferita aperta, mi ha detto qualche mese fa, ma io mostro cicatrici anche dove zampilla il sangue. L'importante é suturare, apparire interi, compatti, a chi importa cosa c'è sotto?
«Puoi mentire a lei, ma non a me.» Lauren si inginocchia vicino alla mia poltrona e solo allora mi accorgo di aver stretto i braccioli fino alle unghie. «L'ultima volta che sei stata te stessa, io ero ancora viva. É questo il problema? Hai perso la tua identità cercando di non dimenticare la mia? Dovrei sentirmi in colpa o chiederti scusa? Perché non farò nessuna delle due.»
«Adesso sta' zitta!» Grido a pieni polmoni. Il respiro mozzato é l'unico rumore a frangere l'aria.
«Lauren é qui con noi?» Domanda la dottoressa, squadrando il vuoto accanto a me come se avesse da dire più della mia persona. Un fantasma é più espressivo del mio volto, ma questa non é una novità: siamo fatte della stessa ombra. «Che cosa ti sta dicendo, Camila?»
I nostri sguardi non si sono abbassati e la voce della donna é solo un suono fuori campo. Lauren solleva le sopracciglia aspettando che dia forma alle sue parole. Sono venuta qui per annientarla, ma ogni volta ne esce più forte di prima. Finché la sua voce rimane nella mia testa, ha dei confini circoscritti; ma quando la traduco in realtà, é come se le allungassi la vita. Eppure. Non posso azzittirla con un coltello, dunque dovrò essere brava al suo stesso gioco.
«Ha detto che l'ultima volta che sono stata me stessa era con lei.» Dichiaro ad alta voce. Ci ho messo un po', ma adesso non arrossisco a parlare per lei come se lei fosse davvero qui. «Sono bipolare, dottoressa?»
Un sorriso gentile colora le sue labbra più del rossetto aranciato: «No, Camila.»
«Ho un disturbo di personalità? Una crisi d'identità? Insomma, perché cazzo mi succede questo?» Indico la donna al mio fianco, ma le mie mani cadono nel vuoto. Quanto vorrei colpirla. Anche solo una volta. Sentire la sua mascella crocchiare. Almeno saprei di poter combattere ad armi pari, invece nemmeno questo mi é dovuto.
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One shot Camren
FanfictionOne shot Camren Comprenderanno anche alcuni capitoli "interattivi" e capitoli riguardanti storie presenti sul mio profilo (come fight back, she loves her etc...)