Vado a tentoni, qui è tutto buio. Sembra di esser catapultati in un mondo apocalittico, o sull'ennesimo set di Regan- e in quel caso preferirei di gran lungo un mondo apocalittico, almeno non devo pretendere che mi piaccia.
Avverto delle voci concitate provenire dal corridoio, ma quando apro la porta e illumino l'androne con la torcia del telefono, mi sorprendo di trovarlo vuoto. Però le voci persistono. Provengono dalla reception. Alcune parole sono distinguibili sopra le altre, ma ne cavo tre di un discorso e due di un altro, ed è allora che mi spavento: potremmo davvero essere sul set di Regan. Fortunatamente ci pensa l'altro telefono, abbandonato sul comodino, a risvegliarmi dall'incubo. Il nome di Regan lampeggia sullo schermo, ci sono già cinque chiamate perse e due messaggi vocali. Non faccio in tempo a rispondere e mi accingo ad ascoltare un audio. Come pensavo, è bloccata da qualche parte dall'altra parte del paese, come il resto dello Stato immagino; si scusa molto ma non riuscirà a raggiungermi per firmare le dimissioni, proverà a contattare un suo agente ma non assicura nulla.Fantastico. Ho saltato il compleanno di mia sorella per concludere ufficiosamente questo strazio e invece tornerò a casa a mani vuote per colpa di una stronza chiamata Therese che è più esigente di tutte le mie ex messe insieme, visto che si preannuncia tenerci in assedio almeno per i prossimi tre giorni.
Vedo di capirci di più in questa situazione, visto che scombussolerà tutti i miei piani. Tolgo il pigiama e infilo velocemente un paio di jeans accompagnati da una maglia a collo alto, la più calda che abbia messo in valigia. Il corridoio è ancora silenzioso, nella hall si sovrappongono delle voci agitate, ma una volta sopraggiunta davanti alla reception percepii subito la tensione essere nient'altro che preoccupazione. Una famiglia con due bambini piccoli si assiepa davanti al bancone accoglienza, gli occhioni grandi del maschietto mi perforano di dolcezza. Accenno un sorriso tenue e un saluto abbozzato con la mano che rassereno lo sguardo del piccolo per un istante ma incupiscono quello del padre che lo stringe a se con fare diffidente. Aspetto pazientemente il mio turno, intanto dirigo disinteressatamente lo sguardo sulla situazione circostante.
Il caminetto raduna qualche ospite più anziano, abbracciato ai propri compagni o ad una tazza di cioccolata calda. Alcuni bambini giocano fra di loro spensierati, ignari e indifferenti all'ululato del vento. Sospiro. Il bambino di prima inizia a piagnucolare e il padre lo consola distrattamente mentre arrangia una pianificazione di rientro urgente; sembra scocciato. Alcuni camerieri tentano di distendere il clima offrendo spuntini appetitosi, ma anche a stomaco pieno l'ansia aggredisce i loro sguardi. Al di là dei papillon sfarfallanti e le giacche di velluto blu, vi è uno stuolo di avvocati o professoroni che annegano l'angoscia di dover riprogrammare interamente l'agenda nello scotch. Vicino a loro, discosta di qualche metro, vi è una donna. Indossa un abito rosso, attillato, tiene le gambe accavallate e seducentemente esposte. Sorseggia placidamente un cocktail, e mi incuriosisce perché è l'unica persona immota e serena in tutta la hall. È l'unica che non si preoccupa dell'illuminazione instabile, o degli appuntamenti da rimandare e tantomeno i nomi con cui fare ammenda.
Il trillo del telefono mi riporta sulla ragazza della reception. Mi sono distratta troppo a lungo e un signore con la cravatta più brutta che abbia mai visto -dovrebbero essere giraffe o girasoli quelli?- mi ha superato senza indugio alcuno. Sbuffo ma non polemizzo; ci sono già diversi intoppi con cui accapigliarsi, non intendo allungare la lista.
Intanto il mio sguardo ritorna alla schiena incurvata e inguainata della donna. Non ha fatto una piega in questi minuti, continua la sua serata come un normale sabato sera in un pub di Manhattan. Mi chiedo se sappia qualcosa, o se la sua bolla l'abbia protetta anche dalle ultime notizie.
Qualcuno si sta accodando dietro di me mentre l'uomo dai baffi acuminati che mi ha superato si sta alterando con la ragazza della reception, come se fosse lei la causa dei suoi mali. Mi rendo conto di non voler restare qui, non solo perché mi sento circonfusa da ansia e preoccupazione, ma sopratutto perché quello che potrebbe dirmi la receptionist non mi interessa tanto quanto quello che potrebbe dirmi quella donna al bar.
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One shot Camren
FanfictionOne shot Camren Comprenderanno anche alcuni capitoli "interattivi" e capitoli riguardanti storie presenti sul mio profilo (come fight back, she loves her etc...)