Touchin' me

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Want you on your knees,
Want you begging "please."
We can switch and, baby, you can ride on top on me.

————

«Si chiama Lauren. Non puoi sbagliare. Capelli neri, faccia da omicida, completo di Gucci.»

«Sembra il ritratto di tutte le cose che non mi piacciono.» Mormorai, e subito la mano di Dinah mi fu addosso.

«Non dire queste cose. Ha orecchie dovunque.» Si guardò attorno sospettosa.

«Dinah, rilassati. É un colloquio di lavoro, non una negoziazione con la mafia locale.» Scossi la testa ridacchiando, ma la sua espressione seriosa rovinò l'umore.

Ripresi a camminare lasciandola dietro di me. La ragazza mi si caracollò dietro ostentando nuovamente un atteggiamento intimorito. «D'accordo, ma mi raccomando: ricordati di stringerle la mano e di non darle mai torto.»

«Non sapevo Beyoncé fosse il suo secondo nome.»

«Ci rinuncio.» Sospirò esasperata, piantandosi nel mezzo del corridoio: «Cavatela da sola. Ci vediamo dopo.» Girò i tacchi e se ne andò lasciandomi a fare i conti con velati sensi di colpa a cui avrei pensato dopo.

L'ufficio si trovava a pochi passi da me. Per arrivare a quel punto avevo attraversato anni, sogni e ostacoli, e tutto si riassumeva con quel momento. Mi faceva uno strano effetto, come se da domani non avessi idea di cosa avrei fatto della mia vita. Presi ancora un respiro prima di bussare. Venne ad aprirmi una ragazza minuta, sbarazzina.

«Salve, ho un appuntamento con...» Dissi.

«Lo so.» Intervenne ampliando un sorriso inquietante. «Si accomodi, Lauren sarà da lei fra un istante.» Pronunciò sommessamente, dopodiché uscì dalla stanza e mi permise di entrare. «Mi raccomando, faccia silenzio.» Si premurò di redarguirmi prima di richiudere l'uscio. Avevo l'impressione che fossero tutti esageratamente deferenti.

«...Certo, capisco.» La corvina mi dava le spalle mentre proseguiva indisturbata la conversazione al telefono.

Mi approssimai alla scrivania, sorprendendomi della grandezza dell'ufficio. La mia prima casa era più piccola. Per quanto spazio consentisse, era alquanto minimalista. Se avessi voluto indovinare cosa piacesse a questa donna, non avrei trovato un solo indizio. Si nascondeva fra tinte unite e tonalità scure. Non c'erano sfumature nel suo modo di mostrarsi. Seguii i suoi movimenti pacati esaltati dal tailleur nero, dal rumore dei tacchi sul pavimento in marmo. Si voltò verso di me sulla fine della chiamata e per un istante compresi quale fosse l'angoscia di cui tutti sembravano intrisi al suo cospetto. Occhi verdi, sguardo severo, portamento altezzoso, aria audace. Ti sentivo piccolo al suo confronto, ti sentivi invisibile al suo fianco. Mi venne istintivo chiedermi quale genere d'amore potesse avvicinarsi a una come lei.

«Va bene, Jean. Ci aggiorniamo in settimana, grazie.» Agganciò la cornetta e un silenzio gravoso pesò nella stanza.

«Buongiorno.» Azzardai, ma la donna rimase tacita. Pareva mi squadrasse, come se desiderasse sapere di me qualcosa di cui nemmeno io ero sicura.

«Piacere.» Allungò la mano e mi sbrigai ad afferrarla. Quando tocchi qualcuno per la prima volta, la tua pelle riconosce già quante vie può aprire una mano. Quando la sfiorai, un brivido mi corse lungo la schiena. Ebbi la sensazione di dovermi difendere e allo stesso tempo di essere pronta a tutto.

«Camila.» Suonava banale il mio nome quando lo proferivo per lei.

«Camila.» Si sedette lentamente sulla poltrona, si rassettò la giacca. «Perché sei qui oggi?»

One shot CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora