Capitolo 151 - Solo due forze uniscono gli uomini: l'interesse e la paura -

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Pavia, 26 maggio

Un rumore assordante ruppe il silenzio di quella giornata. Le porte della città vennero sfondate con pochi colpi di cannoni: i francesi erano arrivati. Dopo aver distrutto la debole resistenza locale, il 6° battaglione di granatieri, guidati dal generale Dammartin, piombò in città, sparando come gli era stato ordinato dal comandante. Non avrebbero dovuto avere alcuno scrupolo nei loro riguardi.

Nonostante Bonaparte avesse più volte intimato la resa, volendo evitare inutili spargimenti di sangue e di risolvere la situazione similmente al caso di Binasco, i pavesi non avevano fatto altro che tenere prigioniera, nel loro castello, la guarnigione 'punitiva' che avevo fatto inviare. Ciò spinse il giovane generale ad usare le maniere forti, intenzionato a ridurre in cenere quella città facoltosa e dalla storia millenaria, dopo aver fatto liberare i suoi uomini. "Non posso permettere che un simile atto resti impunito, specialmente perché non avevo intenzione di muoverle guerra contro" rifletteva nel mentre attraversava, con i suoi aiutanti, la strada verso Pavia.

- Una piccola guarigione francese dopo essere entrata è stata catturata - emise uno dei membri del consiglio della città. Era visibilmente preoccupato, si era tenuto aggiornato circa la situazione di Milano, che era apparentemente tornata alla normalità, e specialmente di Binasco. Un simile esito aveva spaventato le cariche più influenti: temevano non soltanto di perdere il posto, ma anche la città che governavano. Non potevano permetterlo.

- A breve sicuramente arriverà il loro comandante - rispose il podestà Camillo Campari, il quale cercava di mostrare ottimismo, ma, come il resto dei colleghi e sottoposti, era inquieto e apprensivo - Che sta dimostrando il suo lato più intransigente, però, dobbiamo impedire che anche Pavia abbia lo stesso destino...

- E come possiamo fare? Parlargli sembra impossibile! - rispose l'altro collega, asciugandosi il sudore sulla fronte. Nonostante le giornate calde, rabbrividiva per il freddo, scosso dalla paura. C'era in gioco il loro destino.

- È l'unico modo che abbiamo - disse Campari determinato - Ci penserò io a parlargli, se per voi risulta difficile, però dobbiamo tentare in tutti i modi di preservare la città - sospirava, immaginava che sarebbe stato difficoltoso - O quanto meno evitare che venga bruciata... - pensava a come avrebbe potuto rabbonire un'autentica belva, quali parole usare per impedire che la sua furia incontrollabile si scatenasse e si abbattesse inesorabile su ognuno di loro. Avrebbe dovuto sfoggiare la sua abilità da oratore e avvocato al massimo, avrebbe difeso la città ad ogni costo.

Intanto Bonaparte aveva raggiunto anch'egli Pavia, che era stata sgomberata dai popolani, che si erano sollevati contro i francesi, e aveva fatto ricongiungere il reggimento liberato al proprio. Avrebbe voluto calmarsi, ma sentiva la rabbia salirgli nuovamente. Era un affronto alla sua persona, più che alla sua armata, il suo orgoglio era stato ferito.

Eppure non aveva alcuna voglia di distruggere pure quella città, così ricca di storia, lo avrebbe fatto solamente se fosse stata l'ultima soluzione possibile da applicare, per ottenere la calma e vendicare, così, i propri uomini. In cuor suo sperava di trovare un po' di diplomazia "E persone che abbiano davvero a cuore la pace e il forte desiderio di collaborare con noi, abbattendo queste spinte anti-rivoluzionarie, che non fanno bene a nessuno, tantomeno a loro, tuttavia non indietreggerò suoi miei propositi di ridurla in cenere". La paura era uno dei sentimenti che spingeva gli uomini a muoversi e a indirizzarli verso ciò che era giusto.

Nel mentre pensava ciò, quasi come se fosse stato guidato da qualcuno, si trovò dinnanzi ad uno dei palazzi più importanti della città: il Collegio Caccia di Novara. Era proprio lì che voleva stabilirsi durante il breve soggiorno pavese: un edificio di stampo neoclassico, riscontrabile dalla facciata razionale e sobria, in bugnato. Era la residenza collegata all'università di Pavia, all'epoca l'unica presente nel ducato di Milano, vi studiavano i discendenti del fondatore, Giovanni Francesco Caccia e altri membri della nobiltà novarese.

L'Uomo Fatale - 1: Identità - [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora