Capitolo 140 - Armistizio di Cherasco -

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27 aprile

I soldati francesi erano ben lieti di poter riposare comodamente, dopo intere giornate di battaglie, sangue e morte. La loro devozione nei confronti del comandante era sempre più forte, per gran parte di loro era quasi comprabile ad un dio della guerra. Non avevano mai avuto un capo così prima di allora: la maggior parte di costoro era analfabeta e non poteva sapere dei grandi uomini del passato a cui spesso Napoleone faceva riferimento.

Ma molti erano rimasti decisamente stupiti dal suo atteggiamento di rifiuto del saccheggio, non potevano davvero credere che quel giovane uomo potesse arrivare addirittura a fucilare dei soldati per qualche furtarello. Alcuni che avevano compiuto degli stupri alle donne del posto erano stati giustiziati alla stessa maniera. Sapeva premiare e punire nel modo giusto e senza esagerare; nonostante l'età dimostrava di essere estremamente maturo su come rapportarsi con loro. Ignari di ciò che gli ufficiali superiori e soprattutto Bonaparte avevano in mente per concretizzare quella vittoria, si godevano ciò che era stato permesso loro di recuperare in città.

Intanto al comandante era giunta la notizia che i plenipotenziari inviati dal Savoia erano quasi arrivati, il cuore di Napoleone prese a galoppare ancora più velocemente di quanto non battesse già in quei giorni. Era eccitato ed emozionato, aspettava questo momento da tanto tempo: poteva agire come desiderava. "Non avere quei direttori tra i piedi è una grande gioia per me" incapace di stare fermo si alzava in continuazione e gironzolava per la stanza in cui si sarebbe firmato l'armistizio. Nel mentre aspettava che la cena venisse preparata in una stanza apposita "Anche se non sono un maestro di galateo, desidero, anzi no, pretendo che gli ospiti siano ben trattati, con tutti i riguardi".

Ci teneva a fare una bella figura con quegli ospiti illustri, sapeva che la voce di quell'armistizio sarebbe girata non solo in Francia, ma anche tra i regni italiani. Esigeva che tutto fosse perfetto, dalla sala da pranzo ai corridoi "È questo che voglio, l'Italia è una terra prodigiosa, aiuterà sia la mia gloria, sia la ricchezza della Nazione" eppure era sicuro che un leggero richiamo delle origini c'era stato. Aveva scelto di diventare francese, però il sangue era quello italico, non si poteva negare.

Sorrise divertito nel pensare che gran parte delle persone che abitavano quelle zone e soprattutto i plenipotenziari avevano dei nomi più francesi del suo "L'ironia del destino" rifletté "Questo dimostra il legame forte della regione della Savoia alla Francia, se non dell'intero Piemonte, per questo la mia proposta di unirlo assieme a Nizza non è azzardata".

Era talmente eccitato da non riuscire a contenersi, era come assalito da un turbine interiore che non gli dava tregua, camminava inquieto, i suoi passi erano ormai abitudine agli orecchi dei suoi subordinati, quel rimbombo diventato familiare - Si vede che è un ragazzo alle prime esperienze da questo punto di vista - emise Massèna, godendosi il meritato riposo su una sedia comoda e morbida dell'ampio salone, che il comandante aveva generosamente concesso - Non lo possiamo biasimare, ha quasi 27 anni...ci farà l'abitudine...

- E poi eravamo partiti con nulla praticamente - aggiunse Augereau di rimando - Adesso siamo qui e chissà dove arriveremo... - ghignò divertito. Chi se lo sarebbe mai immaginato che quel ragazzino fosse talmente pazzo da riuscire a portare un branco di cenciosi scalmanati tra le fertili terre italiane, da vincitori - Di sicuro molto lontano

- Immagino la faccia di quei babbei a Parigi che si stanno rodendo il fegato al pensiero di aver perso tra le mani un'occasione simile - riprese Masséna sistemandosi alcune pieghe della divisa. Poi si alzò in piedi e camminò lungo il tavolino che era al centro della stanza e avanzò lungo l'armadio e ne toccò il ruvido legno.

All'improvviso il passo del comandante si fermò e tutti si guardarono, aspettando che riprendesse la cadenza. Ma stavolta Napoleone si era fermato davanti la finestra e osservava la città, il respiro era frenetico, non doveva farsi trasportare troppo dal sentimento, doveva restare calmo. Quella vittoria non era che un piccolo tassello della strada che doveva compiere, ne era più che consapevole: il percorso era impervio. Per fortuna adorava le sfide e le imprese, specialmente dopo anni di quasi totale immobilità. Iniziava a nascere in lui la cognizione delle proprie capacità, tuttavia, nonostante le pupille dilatante e la soddisfazione, era soltanto l'inizio.

L'Uomo Fatale - 1: Identità - [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora