Capitolo 13 - Perdita -

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23 marzo 1785

La primavera era ormai giunta delicata al pari di una dolce brezza, la vegetazione e i campi erano pronti per risvegliare i loro fiori migliori. La vita stava rinascendo in tutto il suo splendore e meraviglia. Nella piccola mansarda in cui alloggiava prima e dopo le lezioni, in un momento di riposo dopo un'intera notte passata a scrivere, con la penna d'oca ancora nella mano sinistra, il viso appoggiato sopra l'altra, e la candela interamente consumata, che da ore aveva esalato l'ultima fiamma, il giovane corso osservava il cielo limpido e terso di nuvole che si stagliava e avvolgeva attorno alla sua presa il mondo, dopo intere settimane di pioggia e freddo pungente, che  sembravano averlo stretto nella sua morsa.

- Finalmente una bella giornata di sole! - esclamò alzandosi bruscamente, con un fievole sorriso, sperava che l'influsso della giornata, da poco incominciata, avrebbe risollevato un po' il suo umore grigio. "Chissà come starà la mia famiglia?" si domandava mentre si avvicinava alla finestra ad osservare il paesaggio urbano. Erano anni ormai che non si vedevano. Come erano cambiati e cresciuti i fratellini nati dopo la sua partenza? Che immagine si erano fatti di lui? La stessa che aveva elaborato e immaginato in quegli anni con le lettere e informazioni che riceveva e ricavava? Sperava con tutto il cuore di finire in fretta di completare gli studi.

Era impaziente di rivedere la sua famiglia, la sua casa, la sua cara isola. Si chiedeva, anzi si tormentava, con queste domande, cercando di scacciare la nostalgia, la paura, la solitudine ormai sempre più presenti e opprimenti. Anche se era bambino quando era partito dalla Corsica ogni ricordo visivo, uditivo e sonoro era ben nitido e scolpito nella sua mente, nel suo cuore. "È da un po' che non ricevo notizie da parte loro, ed è strano perché mi aggiornano sulle eventuali novità, mi auguro solo che non sia accaduto nulla di grave" si diceva sospirando. La sua sottile figura si rifletteva sul vetro che mostrava l'ambiente parigino. Seppur di nascosto, Napoleone non aveva mai smesso di scrivere la storia della Corsica.

Il suo cuore non apparteneva ancora ai francesi, proteggeva la sua identità con orgoglio e, molto spesso, con ferocia. Non poteva permettere che vincessero, che lo sottomettessero, non era nella sua natura arrendersi senza aver lottato fino allo stremo. Era cresciuto con gli ideali dei grandi uomini del passato, i loro esempi gli avevano dato la forza di resistere sia attivamente che passivamente alle minacce e ai soprusi. E gli avevano dato carica per poter continuare a resistere nella tana del nemico.  

Si allontanò dalla piccola finestra e prese a camminare per sgranchirsi le ossa, ma la stanza era eccessivamente piccola, perciò decise, di approfittare del tempo libero per passeggiare un po' all'aria aperta, prima di ritornare all'Ecole, giusto in tempo per le lezioni quotidiane. Era da quasi un anno che viveva nella capitale francese, ma non aveva mai avuto modo per visitarla da cima a fondo, la conosceva tramite i libri che aveva letto e le notizie sentite in giro.

Pensò che non fosse un grave peccato concedersi una pausa straordinaria, si sistemò gli abiti leggermente sgualciti e si pettinò i capelli arruffati e ribelli. Si avvicinò alla scrivania, afferrò i fogli e li mise da parte. Il silenzio regnava in quel luogo, nessuno era ancora sveglio e con calma scese evitando di fare rumore. Per Napoleone il riposo notturno era mal visto non solo a causa della sua precoce insonnia, che influenzò non poco la sua vita e il suo pensiero, soprattutto perché dormire più di tre o quattro ore lo considerava una forma di pigrizia mentale capace di rammolire il corpo e il fisico.

Uscì dalla casa e s'incamminò silenzioso e solitario, come le strade in quel momento, fu un vero sollievo per lui, si rilassò e distese i tratti del viso che divennero improvvisamente più giovanili e rotondi. Solo un leggero venticello rompeva il silenzio che regnava all'alba e gli scompigliava i capelli lunghi in aria. Quella passeggiata gli stava proprio facendo bene all'anima: il vigore pulsava nel corpo, e recuperò tutte le energie perse negli ultimi giorni in cui non si era mosso dalla mansarda se non per andare a lezione. Inspirò tutta quell'aria pura nei polmoni, non sembrava proprio essere in Francia, a Parigi, quell'ambiente urbano e quella calma gli ricordava la sua Ajaccio, selvaggia, aspra ma dolce e amorevole come una madre.

L'Uomo Fatale - 1: Identità - [In revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora