Ruoto stanca il cucchiaino nella mia tazza di latte al cioccolato. Ancora devo svegliarmi e già voglio tornare a letto, neanche avessi novant'anni. Una novantenne è più arzilla di me.
Come se non bastasse, il foglietto che mia madre ha attaccato al frigorifero mi ricorda i mestieri domestici di oggi. Almeno non dovrò fare nulla di pesante.
"Lunedì: spolverare e pavimenti."
Ci siamo divise i compiti in casa, chi non è fuori si occupa di mantenere questo posto vivibile. I mobili di casa nostra non sono molti, abbiamo dato via il divano che ingombrava tutta la nostra sala da pranzo quando mio padre se n'è andato. Non lo usavamo più – o per meglio dire: mia madre non lo usava più, visto che io mi sedevo lì per guardare le partite.
Ha venduto su internet anche il nostro televisore, così mi sono dovuta arrangiare per qualche mese per poter tifare la Vulnus da casa. Andare al palazzetto era escluso, con quale faccia tosta avrei chiesto i soldi per i biglietti quando lei faticava a trovarsi un lavoro? Non aveva mai lavorato prima e si era ritrovata da un giorno all'altro senza marito e con il proprio mondo da ricostruire da capo.
Papà, quanto ti odio.
Avrei preferito diventare orfana, come le protagoniste di alcuni romanzi discutibili che si ritrovano senza un genitore e che vedono il loro quotidiano stravolto dalla perdita. E invece no, mio padre se n'è solo andato via quando mia madre ha scoperto che la tradiva con una donna più giovane e da cui aveva persino avuto un figlio.
Mio padre è passato in un'ora da essere l'uomo sensibile che mi aveva fatto scoprire la Vulnus a un totale sconosciuto che aveva preferito levare le tende piuttosto che mantenere un minimo rapporto con me.
Avrei potuto capire che non amasse più sua moglie, ma io cosa avevo fatto di male?
La piccola libreria dell'Ikea con alcuni romanzi che abbiamo collezionato nel corso degli anni non è tanto impegnativa da spolverare, così come non lo è la camera quasi spoglia di mia madre, o la mia cameretta in cui oltre all'armadio con i vestiti lo spazio è occupato da una misera libreria con i testi scolastici. Non ho neanche una scrivania per studiare, diversamente dalle mie ex compagne di scuola. Ma è pur vero che anche così devo fare attenzione quando apro l'armadio per non farlo sbattere contro il letto, tanto è tutto stretto e soffocante nella stanza.
Mi siedo e guardo la mia bacheca di sughero appesa al muro, con le foto dei ragazzi del fanclub. Chissà come avrei fatto senza di loro... Li ho scoperti per caso, bazzicando sui social. Il fanclub ha una piccola sede in un quartiere vicino, dove si guardano insieme le partite in trasferta e chi non può andare a quelle in casa può recuperare nei giorni successivi la replica. Così ho continuato a seguire la squadra e a tifarla con qualcuno che condividesse la mia stessa passione.
I ragazzi del gruppo sono sempre stati gentili con me, anche se sono introversa e se non sono espansiva come Gigi o Cornelia... Ma mi hanno accettata. Per me, che sono sempre stata una persona solitaria, è stato nuovo.
Poche volte, circa una all'anno, sono andata anche io con loro alle partite in casa: la maggior parte delle foto proviene da lì. Mi hanno regalato i poster che ora campeggiano sulle pareti, che raffigurano momenti di partite, siamo diventati così amici da invitarmi al matrimonio tra Bruno e Cornelia, che si erano conosciuti proprio grazie al fanclub.
Sono ancora quella strana, ma dopo averli conosciuti da sedicenne posso affermare con sicurezza che sono accettata per quella che sono. La musicista innamorata della Vulnus e del suo pianoforte.
I miei occhi si posano su uno dei miei poster, raffigurante uno dei giocatori dalla pelle color caffellatte – come dice Cornelia – che schiaccia il pallone a terra per servire un compagno. Ha un coprigomito al braccio sinistro, dello stesso verde scuro della sua canotta. Portava la barba lunga in un pizzetto orrendo, ma a Cornelia dicevo che mi piaceva persino così anche se lo trovavo orribile.
È il mio giocatore preferito. Mike Cooper, per cui covo un amore platonico da diversi anni.
E ora che la stagione sta per iniziare, non vedo l'ora che arrivi la mia partita annuale al Palavulnus. Adesso che ho finito la scuola e che lavorerò di più, potrei anche permettermi di andare altre volte. Sempre che mamma non sollevi polemiche sul fatto che vado a divertirmi...
Mi alzo dal letto, cercando di trattenere la mia espressione infastidita. Secondo Cornelia si capisce cosa provo in ogni momento. Non sono in grado di nasconderlo mai, né quando sono da sola, né in compagnia di altri. Le do ragione, ma sono la prima a essere consapevole di mantenere il silenzio su quali siano le mie emozioni e i miei pensieri. Se parlo sono sincera, quindi meglio mantenere un dignitoso riserbo.
Non mi piacciono le bugie e non mi piace fingere, perché è quello che ha allontanato i miei genitori. Ed è anche ciò che ha distrutto la mia stabilità emotiva, perché credevo che a mio padre importasse di me.
Prendo il mio panno e il detersivo annacquato e vado dal mio pianoforte, che troneggia nella sala da pranzo accanto al tavolo. È nero, dall'aria severa, la stessa che aveva mio nonno il giorno del mio settimo compleanno, quando ha scoperto che mi piaceva la musica ma che la tastiera-giocattolo che mi avevano regalato sua figlia e suo genero per Natale non era niente più che un divertimento per bambini. E io, già all'epoca, avevo fatto presente che mi sarebbe piaciuto un pianoforte vero. E che, se non potevo averlo, preferivo restare senza e non con quella pallida imitazione.
Ricordo perfettamente l'espressione sbalordita di mia madre, che non aveva idea di dove piazzarlo, mentre lui dava con sicurezza le istruzioni agli operai che l'avevano trasportato sin qui. Mi aveva fatto l'occhiolino con complicità e mi aveva dato un buffetto sulla spalla.
«Promettimi che te ne prenderai cura» mi aveva detto. «Ti pagherò le lezioni fino a quando non sarai grande.»
Ricordo ancora quel giorno come il più bello della mia vita. Nonno sapeva di essere malato, ma forse sperava di avere più tempo, di arrivare a vedere sua nipote diventare una grande musicista... E invece tre anni dopo aveva vinto la malattia portandolo con sé verso lidi sconosciuti.
Tre anni in cui aveva dimostrato di tenere a me, al mio sogno di essere una pianista. Mi aveva anche lasciato una buona eredità che mi avrebbe permesso di proseguire gli studi musicali finché sarebbe stato possibile.
Ma ora non lo è più e devo contare solo su me stessa per iscrivermi al Conservatorio il prossimo anno.
Spazio autrice
Eccovi Lavinia, in un pov molto più esteso e che ce la presenta meglio. Vi piace?Sarò sincera: ho riscritto questa parte più volte, perché non ero mai convinta della resa finale... Ma ora ne sono soddisfatta, perché mostra bene il suo carattere prima ancora di vederla in azione.
Vi ricordo sempre di seguirmi su Instagram (sono "snowtulip_autrice") per approfondimenti e curiosità!
Baci a tutti,
Snowtulip.
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Note a canestro
RomanceLavinia ha un sogno, diventare una pianista di professione, e un amore segreto, il giocatore di basket Mike Cooper. Lo ama di un amore platonico, più profondo di quello che potrebbe legare una tifosa al suo giocatore preferito. E non si permetterebb...