Capitolo 22 (prima parte)

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Aspetto in macchina, parcheggiato in una via grigia

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Aspetto in macchina, parcheggiato in una via grigia. In questi giorni il meteo non sembra per niente buono. Picchietto con le dita sul volante e lancio continue occhiate al civico 22, quello da cui dovrebbe spuntare Lavinia da un momento all'altro. Si tratta di un portone anonimo, non crederei mai che al suo interno si trovi la sede di una casa discografica.

Starà ancora firmando il contratto, o la staranno trattenendo per chissà quale motivo, perché mi ha scritto dieci minuti fa dicendomi che aveva finito.

Non voglio essere pressante, perciò mi trattengo dal prendere il telefono e mandarle un messaggio per chiederle se è tutto okay.

Tra poco arriverà e...

Eccola.

Esce a testa bassa dal numero 22 insieme a una ragazza, che assomiglia alla cantante dell'Oasi – non essendo truccata, né vestita elegante è difficile capire se sia davvero lei. L'altra le porta una mano sulla spalla e le dice qualcosa, prima di stritolarla in un abbraccio e andare via nella direzione opposta rispetto a dove mi trovo.

Lavinia si guarda intorno cercandomi e appena il suo sguardo incontra il mio la saluto con la mano e lei si incammina verso di me. Ha i capelli legati in una coda alta e due perle verde scuro come orecchini. Mentre si avvicina, noto gli occhi lucidi e il trucco sbavato verso il basso, come se avesse pianto.

Prende posto al mio fianco e poggia i gomiti sulle ginocchia, coprendo il viso tra le dita.

«Che succede?» le chiedo. «Non ti hanno fatto incidere il brano?»

Fruga nella borsa ed estrae un fazzoletto con cui si soffia il naso. «L'ho inciso. Ma mi hanno chiesto di smettere di lavorare come cameriera, quando mi scadrà il contratto, perché lede l'immagine della casa discografica. E io come faccio? Come mi pago il Conservatorio?»

«Non puoi aumentare le serate all'altro locale?»

«Me l'ha detto anche Nelly. Non so se il manager mi aumenterà le serate, mi sopporta a malapena. Per fare posto a me dovrà togliere le serate ad altri. Sarei egoista a chiederlo.»

«Non sei egoista, ti serve lavorare.»

Ripiega il fazzoletto e se lo mette in tasca. Mi guarda, ha ancora gli occhi umidi e potrebbe bagnarli ancora. Vorrei stringerla a me e abbracciarla, non riesco a vederla in questo stato.

«Devo chiamare Riccardo» mormora. Telefona al suo capo del ristorante e inizia a singhiozzare quando gli spiega che dovrà lasciare il lavoro. Da come reagisce, sembra che il titolare del posto capisca le sue esigenze – o forse si dimostra comprensivo perché Lavinia è scoppiata in lacrime.

Attacca la chiamata e cerca di asciugarsi le guance con un altro fazzoletto.

«Ci metterò una vita a mettere i soldi da parte» sussurra. «Forse mi servirà un altro anno.»

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