Capitolo 9 (seconda parte)

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Indosso il grembiule e stringo il nodo sulla schiena

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Indosso il grembiule e stringo il nodo sulla schiena. Inspiro ed espiro lentamente, perché vorrei essere ovunque tranne che qui. Non all'Osteria, con Yuri che mi guarda male perché deve fare più turni per coprire le serate che trascorro all'Oasi. Come se andassi lì a divertirmi e non per lavorare.

Riccardo gli ha spiegato che avrebbe avuto in ogni caso un incremento dei turni, perché a fine estate era solo in prova per due giorni a settimana... ma Yuri è offeso perché non ha la possibilità di liberarsi di lunedì e giovedì.

E a me pesa, perché non avrei alcun problema a dargli il cambio, se non fosse che il manager dell'Oasi mi ha costretta a mantenere quelle due sere fisse da loro.

«Gli passerà» sussurra Jasmine. «Se vorrà andarsene e beccare un capo che lo obbliga a orari indecenti trattandolo anche come se fosse fango fuoriuscito dalle fogne, capirà che qui al confronto è il paradiso.»

Non replico, né do il minimo cenno di averla udita. Vorrei darle ragione, ma non riesco a evitare le occhiate di ghiaccio di Yuri.

Sarebbe più facile se avessi Nelly accanto a me tutto il giorno a incoraggiarmi e a tirarmi su di morale appena qualcosa non va. Con lei mi sento bene, mi sento libera di essere me stessa, con le mie insicurezze e non mi vergogno più di tanto di ciò che penso o provo, come invece mi capita praticamente sempre.

Non ho ancora completato il mio "Brano misterioso" – l'ha definito lei così in assenza di un titolo – ma spero di riuscire a farlo presto. Mi ha dato nuova linfa vitale, mi sento stimolata a proseguire nella composizione. Nonostante abbia una paura tremenda che risulti fin troppo infantile e che si veda che è scritto da me.

Chissà i grandi compositori cosa pensavano mentre scrivevano le loro note, se erano travolti da dubbi e incertezze...

Apparecchio i tavoli all'esterno, sulla ghiaia del nostro cortile. Sistemo con attenzione le posate, i tovaglioli e i bicchieri e poso il mattoncino con su scritto "riservato" al centro.

Faccio per rientrare, ma rimango bloccata dove sono.

C'è mezza Vulnus che sta puntando dritta a me, seguendo Riccardo. Tomic figlio, Fabbro, Carson, Palanca e Hill, tutti insieme. Andrea Fabbriani tiene il guinzaglio con un cucciolo di cane – non sapevo che ne avesse uno.

Forse sono un terzo di squadra, non proprio metà.

Non c'è Mike. Si è trovato male la scorsa volta e non è voluto tornare?

Tomic mi fa l'occhiolino, prima di accomodarsi al tavolo insieme agli altri.

«Lav, ci pensi tu?» mi chiede Riccardo, che così può tornare in cassa per tenere d'occhio tutta la sala coperta.

«Sì, certo.»

Rientra all'interno, così mi rivolgo ai giocatori della mia squadra.

«Che vi porto da bere?»

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