116. Pompei ed Ercolano

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N/A: ho appena visto che abbiamo raggiunto le 15K letture... Wow
Grazie mille ragazzuoli!

Passando al capitolo, è una "richiesta" di Max1m1l14n , quindi ha dato lui l'idea e io l'ho resa ancora più bastarda.

E dato che è in tempi antichi, vi ricordo che
Gaius= Giuseppe
Tacitus= Vincenzo
Prisca=Giovanna

Buona lettura!

Gaius sta giocando con i suoi fratelli in giardino, mentre tutti anelano di poter pranzare quello che i servi hanno preparato, sotto istruzioni di mamma Prisca.

Ed è allora che tutto va a rotoli.

Un dolore improvviso e lancinante scaturisce dal piede. Urla e cade a terra come un sacco di farina, stringendosi il piede al petto come meglio può.

Che gli importa che i suoi fratelli lo stanno sgridando perché è a culo (e non solo) all'aria? Sta soffrendo come mai prima di allora!

Tutto attorno a lui è ovattato e confuso, come se la testa fosse in tutt'altra dimensione.

Quando pensa di sentire sua sorella correre dalla mamma, qualcosa gli ribolle nello stomaco e risale in fretta la gola, raggiungendo la bocca.

Si sporge di lato, si sforza di mettersi in ginocchio, nonostante il dolore al piede sia ancora lì, e vomita.
Vomita poco, ma il sapore in bocca è orribile e lo corrode dall'interno e tutto sa di acido puzzolente e pungente.

E la testa gira e gira e gira e gira ancora e tutto appare un sogno.
Delle urla distanti raggiungono le sue orecchie, ma non provengono dal giardino su cui è a carponi, sicuramente non dai suoi fratelli, né dalla madre o la sorella e neppure dagli schiavi.

Un sesto senso gli fa riconoscere che quelle sono le urla delle sue genti, ma non ha senso, sono a miglia e miglia da lui.

È nelle terre di mamma, come fa a sentirli urlare? Perché urlano? Cosa ha fatto quello che dovrebbe essere suo padre?

Perché fa tutto così male?!

Finalmente qualcosa di solido lo stringe. Lo abbraccia, incurante del fatto che può di nuovo vomitare e attento a metterlo in una posizione in cui non gli faccia ancora più male il piede dolorante.

Le braccia sono esili come le sue, il profumo è simile al proprio, con qualcosa di lieve estraneo a tutti gli altri.

Una fragranza che lo riporta indietro di tanto tempo, totalmente estraneo e alieno rispetto quello di Impero Romano, e non sa manco perché.

È Tacitus.

Continua a piangere, ma almeno si sente, in una piccola parte, che il fratello si preoccupi per lui così apertamente anche in questa situazione critica.

<Non so perché, ma credo di sapere cosa sta succedendo.> asserisce il bambino, accarezzandogli la schiena.
Gaius vorrebbe chiedergli come ciò sia possibile, ma un altro conato sale e vomita. Per fortuna Taictus è pronto e lo lascia fare non addosso a loro due.

<Ve l'ho già raccontato, no? È come se vedessi oltre la realtà apparente. Ho tipo accesso illimitato al mondo delle idee di quel filosofo di cui tanto ci parla mamma*.> ricorda il calabrese, sperando di distrarlo.

Nonostante veda ancora tutto irrequieto dentro di lui, la parte conscia e controllabile è più quieta.

Prosegue nella sua spiegazione: <C'è qualcosa che ribolle, qualcosa di incontrollabile. Purtroppo, quindi, non puoi decidere quando accade, nè con che forza. Però passerà.> rassicura a modo suo Tacitus.

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