10. Rosa e Seborga

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<Sono abbastanza grande da poter essere uno Stato indipendente! La mia gente lo vuole, io lo voglio!> afferma Seborga a voce alta.
<Beh, io no! Tu resti un comunello in provicinia di La Spezia e non diventi una nazione, anzi, una micronazione!> ribatte Liguria.

Ogni volta che si riesce a convincere Seborga a venire a casa Vargas e a parlare con lei, finisce sempre in questa maniera. Con loro due che litigano e si "urlano" addosso nella camera di lei.

<Cerchiamo in tutti i modi di distinguerci: utilizziamo un nostro sigillo per i documenti, abbiamo una nostra moneta, eleggiamo i nostri re! Tutto questo non solo perché noi vogliamo gestirci così, ma anche per far capire a te, a Feli, a Lovi e a tutto il mondo che noi siamo diversi da voi!> spiega il più alto.

<Peccato che tutto questo non abbia alcun valore al di fuori di quello sputo che é quella cittadina, che tu sei solo uno che vuole tentare di diventare indipendente, ma é inesorabilmente legato all'Italia e, specialmente, a me!> ribatte lei con la sua solita acidità.

<Non lo sarà per sempre. Goditi questa situazione finché puoi. Io presto sarò indipendente e diventerò una micronazione forte e ricca! E mai farò comunella con voi, per tutto quello che mi state facendo!> promette in tono minaccioso Seborga, avvicinandosi sensibilmente al volto della "madre".

La ligure non si lascia intimorire affatto da tale "minaccia" e riprende: <Ah sì? Forte e potente? Nominami una micronazione con grandi ricchezze! L'unica con qualcosa di simile che io conosca é Monaco, ma perché il suo terreno é un piccolo gioiellino. Tanti altri, come Andorra e San Marino, sono solo piccoli e insignificanti! Lasciati in un angolino!>

<Meglio esser dimenticato che associato a te e all'Italia in generale!> esclama il ragazzo, allontanandosi leggermente da Rosa.
<Cosa intendi?> domanda Liguria.

<Non fare la finta tonta! Sai benissimo pure te cosa si dice sull'Italia e su Feliciano e Lovino. Non fare lo struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia.> si esaspera Seborga.

Rosa rimane silenziosa, mentre il ragazzo continua: <Lo sai benissimo che siamo considerati da un lato sempre troppo stupidi, come se cascassimo dal pero ogni giorno, dall'altro siamo idealizzati come sempre iracondi e maleducati ed in generale siamo visti come dei buoni a nulla e basta! Io non voglio più essere definito in questo modo!>

<Questi sono come Feliciano e Lovino si comportano all'esterno. Sai benissimo la verità. Noi non siamo solo quello.> afferma, lapidaria, "pacata" e seria, Rosa.

E Seborga lascia cadere l'ultimo insulto, l'ultima critica che sa benissimo che ferirà come pochi la ligure, a sentirla dire da lui.
<Ah sì? Beh, pensi che sia così meglio venir definiti dei tirchi ed acidi stronzi!?> domanda retorico il ragazzo.

Rosa rimane impassibile e alza un braccio. Ma non per ferire l'altro.
Indica la porta.
<Va via.> ordina, la voce dura come la pietra.

Seborga, senza se e senza ma, esce subito dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta, e scendendo rapidamente le scale per dirigersi all'ingresso.
Nell'andare alla porta si scontra con Piemonte, a cui non chiede scusa.

Roberto lo guarda un attimo offeso, poi perplesso, e quando realizza cosa é sicuramente accaduto inizia a salire i gradini fino all'ultimo piano abitabile della casa.

Rosa, intanto, allo sbattere della porta di camera, piange senza freno, liberandosi dall'auto-imposizione di trattenersi fino a che l'altro fosse uscito.

Faceva male, come ogni dannata volta, sentire tali parole crudeli dai più cari. Perché, infondo, per quando la ligure potesse non darlo a vedere, adorava le sue città. Erano lei e senza di loro ella non era nulla.

Casa Vargas- Le regioni d'ItaliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora