24. Il sacco

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Mario é nascosto dietro le finestre di un lussuoso edificio, non abbattuto perché sono stati dati fior fiori di soldi agli assalitori.
Ma questo non significa che la regione non senta cosa succeda per la propria adorata Roma.

Sente la paura della poca gente superstite.
Ha sentito e tutt'ora sente il dolore di chi sa che i propri cari sono morti.

Durante la giornata lo percorrono molte volte brividi di repulsione, ribrezzo e terrore. Sa benissimo che riguarda le povere femmine, di tutte le età ed estrazioni sociali che, se finiscono vive fra le mani degli assalitori, si ritrovano violate e poi uccise.

Prova pietà infinita per quelle povere umane, che non han fatto alcun errore, se non di trovarsi in quella città al momento sbagliato.
Prega per quelle povere donne.

Prega sottovoce la sera anche per tutte le anime uccise nella foga di quei selvaggi assoldati da quel Paese del nord. Prega per tutti quegli uomini, anziani e preti mietuti dalle loro spade.

Si rattrista nel vedere e percepire luoghi sacri e comuni venire distrutti e razziati nel delirio di avidità che scuote quel popolo brutale, invasore.

Mario non é mai stato il perfetto cristiano e mai lo sarà, lo sa benissimo. Però non é corrotto come la Chiesa, il cui rappresentante, quella sorta di nazione (se così la vuole definire), é più interessata alla politica e sul mettere le proprie rinsecchite mani sui suoi fratelli che a divulgare il verbo di Dio.

Eppure per quel bastardo, fuggito insieme a quella sottospecie di papa, Clemente VII (che poi, Clemente manco per il cazzo), tutto quello non sarà che un attacco piccolo al proprio corpo e più una enorme onta.

Invece per lui tutto é gigantesco.
Il dolore e la disperazione.
La distruzione.
La vergogna.

Perché la bella e potente Roma, la città eterna, una volta caput mundi, é stata violata in quel modo da germanici... come mille anni prima.
I nomi di popoli e comandanti sono diversi, ma il dolore che lui sente é il medesimo.

Batte con forza il pugno su una parete, piangendo con voce strozzata. Quante altre volte deve accadere tale distruzione? Quante altre volte la sua adorata capitale deve essere violata affinché Dio sia soddisfatto e lo lasci definitivamente in pace?

Non é bastato una volta, da infante?
Ce ne vuole una seconda per forza di modi?
Un altro sacco di Roma é così necessario?

Pensa Mario nel dolore suo e del suo popolo.
E maledice il papa che si é lasciato coinvolgere.
Maledice l'imperatore capo dell'esercito, cioé Carlo V, e la Spagna e l'Impero Germanico che lui comanda.
E maledice se stesso, perché non é stato abbastanza potente da impedire tutto questo.

Si guarda intorno e vede la sua spada tristemente appoggiata all'angolo vicino la porta.
Si avvicina come incantato.
La prende in mano, con cura, ammirandone il profilo.

Riflette quella poca luce che filtra dalle pesanti tende rosso scuro.
Osserva attento quei riflessi, muovendo piano la lama, giocando quasi col riflesso che ai crea sulla parete.

La sua spada, la sua fidata spada, con cui si allena da secoli... e quando ne ha avuto l'occasione non l'ha potuta utilizzare.
Non ci é riuscito.
Perché é debole.

É solo un ragazzino viziato che fa la puttana della Chiesa. Quest'ultimo gli abbellisce i territori e lo fa sentire potente, quando in realtà Mario, o Lazio, come dir si voglia, non é altro che l'ennesimo pupazzo fra le mani di quell'essere.

Come Angela, Maurizio, Anna e Domenico.
Sono suoi fratelli, sono sotto il controllo di Chiesa, alcuni da tanto tempo come lui, eppure non ci ha mai parlato tanto.
Perché Chiesa lo tiene in disparte, attaccato a sé, alla sua mercé, perché Roma é il fulcro del suo Stato.

Eppure, nel momento del bisogno, fugge via.
O, meglio, si nasconde. É sempre lì, sempre a Roma, ma ben al sicuro.
Non é riuscito a sconfiggere quegli stranieri.

E se non può uccidere quell'essere e il papa da sé, pensa che uccidersi non sia troppo male. In un caso, sarà un modo per staccare la spina per una giornata intera (se é fortunato).
Nell'altro... sará la sua fine.
Ma non é che veda un grandioso futuro avanti a sé, in quel momento.

Tutto é distrutto e un morbo, di nuovo, si sta diffondebdo fra i sopravvissuti, portati da quei cani che sono i lanzichenecchi.

Mario si dice che a quei bastardi rivolgerà la sua ultima ingiuria e, quindi, pensiero.
Alza la spada e ne indirizza la punta verso il petto.

Chiude gli occhi. É pronto.
Deve solo fare un po' di pressione e il gioco sarà fatto.
Si lacererà le carni e le ossa, arrivando al cuore, che trafiggerà con fermezza e precisione. Così morirà velocemente.

Ma le mani gli tremano e non riesce a premere quella lama contro il petto.
Emette un verso stridulo e lascia cadere la spada di scatto, quasi scottasse.

Guarda l'arma e poi le proprie mani. Successivamente ancora l'arma e di nuovo le mani.
Continua così per quasi un minuto, capendo cosa ha fatto e perché.

Arriva alla conclusione che ha paura di morire.
O forse non vuole.
Sarebbe da vigliacchi, perché abbandonerebbe le sue terre e le sue genti.

E lui non é un vigliacco.
É Mario, discendente diretto di Romulus Augusto Iulia*. Non una schifezza qualsiasi.

Prende respiri profondi e si calma.
Poi il patatrack.
Sente dei passi pesanti e delle voci baritonali parlare in una lingua straniera che si avvicinano.

Prima ancora di elaborare che succeda, le porte si spalancano e quelle bestie che hanno razziato e distrutto Roma si riversano nella sala.

Mario prova a prendere la spada e combattere.
Non vuole morire, non vuole fare questo al suo popolo. Non può fare questo al proprio popolo.

Però, prima di riuscire ad afferrarla, viene preso e una lama lo trafigge allo stomaco.
Un dolore immenso lo percorre totalmente.

Dal fondo della gola sente risalire velocemente il sangue, che gli inonda la bocca velocemente, fuoriuscendo in macabra rapidità.
Emette un verso strozzato mentre sente le forzd abbandonarlo e cade nell'inconscio.

•~-~•

Mario si sveglia nel proprio letto manido di sudore.
In fretta, e in silenzio, si ricorda dove é.
Non é il 1527. E lui non é mai stato ucciso.

"É solo un incubo, un orrendo incubo..." si dice, guardando le lenzuola.
Però non può non sentire gli occhi leggermente inumidirsi, perché sa che tutto il sogno non era un incubo.

Quel sacco c'era stato veramente e lui aveva sentito tutto quello.
La sua Roma era stata violata. E non sarebbe stata l'ultima volta. La città eterna non era esente dalle disgrazie.

Nella sua stanza, nel cuore della notte, pregò che la sua Roma potesse esistere serena, senza altre violazioni di alcun genere, per secoli e secoli.


N/A: *Romulus Augusto Iulia= mio nome per l Impero Romano

E, beh, non potevo esentarmi di parlare del sacco di Roma del 1527 quando lo sto facendo in storia per l'estate.
Che ormai come materia non riesco a prendere seriamente il 90% delle volte, perché penso ad Hetalia.
Specialmente adesso che mi devo studiare le guerre in Italia fra Francia e Spagna-

Casa Vargas- Le regioni d'ItaliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora