195. Una dolce melodia

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Roberto si ferma di colpo in mezzo al passaggio, nel pieno della calca dell'enorme centro commerciale in cui si trovano.
<Ehi, tutto bene?> domanda Bruno, preoccupato. Per sicurezza, dà anche un delicato scrollone ad una spalla, anche se a fatica (perché deve essere così basso?!).

Roberto scuote la testa e si rianima tutto insieme, farfugliando qualcosa molto simile a: <Non è niente, mi sono fatto imbrogliare dai miei occhi, scusa, andiamo!>

Ma il trentino segue dove prima si posava lo sguardo altrui e si sente un po' stupido per non averlo notato subito.
Nel mezzo del centro commerciale, su un tappeto, è posato un pianoforte.
Non è esperto, ma non sembra essere di alta manifattura (non che ci si potesse aspettare un Bechstein o un Fazioli lì dentro).

Il biondino prova a scherzare, raggiungendo il più alto: <È così terribile come pianoforte che fa paura?>
L'ex sabaudo aggrotta leggermente le sopracciglia e ribatte: <No, no. Non è ottimo, ma neanche così scadente. È che... è una cosa stupida, davvero.>

E allora qualcosa clicca nel cervello del trentino, un'informazione precisa gli torna alla mente con una lucidità e prontezza considerevoli.
<Sai suonare il piano, no? Volevi provare? Secondo me si può fare, è lì per essere suonato, sai? Lo fanno in tutto il mondo questo genere di cose. Questo "trend" finalmente è arrivato anche in Italia.> nota.

Il riccioluto scuote veemente la testa e lo corregge: <Non è quello il problema. Sono passati molti decenni da quando ho suonato l'ultima volta, non so se sono bravo. E non voglio ridicolizzarmi.>
E velocizza il passo.

<Secondo me non ti metteresti in ridicolo. E anche se non fossi perfetto, che problema c'è? Chissà quanta gente inesperta l'ha già suonato e che non abbiamo sentito.>
<Impossibile. Se lo suoni lo fai bene, lì.>

Bruno sente le labbra tirare verso il basso e vorrebbe solo stringere l'amato e confortarlo, ma non può. Si limita a: <No, Roberto. Ci si mette alla prova. Possiamo farlo insieme.>

Ma il piemontese non risponde, continuando con il loro passo spedito, e ormai sono troppo lontani dallo strumento affinché la conversazione abbia ancora senso di esistere.
Il biondino si arrende al fatto che non ne vuole parlare e che sia meglio lasciarlo stare, su quel punto.

Per ora.

La fortuna (per il biondino) vuole che debbano ripassare per quel punto una mezz'oretta dopo.
Con discrezione, Bruno sposta in una mano la custodia del suo flauto e la merce comprata nel negozio di strumenti a fiato (cose del calibro di detergenti specifici), osservando di tanto in tanto nella direzione del pianoforte, di fronte a loro.
Ed è libero, ancora meglio!

Quindi il trentino si blocca senza preavviso, tirando con sé l'amico nell'arresto perché lo afferra per il polso (e schiaccia in un angolo del petto quell'emozione molesta che gli sconquassa lo stomaco a quel gesto).

<Ora tu suoni quel pianoforte.> decreta forse troppo seriamente il biondino.
Per tutta risposta, riceve uno sguardo prima confuso e poi spaventato del piemontese.

<No. E ho già detto il motivo. Non voglio ridicolizzarmi.> e prova ad incrociare le braccia, ma con solo uno dei due arti superiori liberi non viene granché bene.
<Nessuno pretenderà che tu sia perfetto.> ribatte Bruno.

Roberto aggrotta leggermente le sopracciglia ed evita il suo sguardo, concentrandosi sullo strumento musicale, facendo capire chiaro e tondo che, sì, c'era qualcuno che pretendeva la perfezione ed era uno molto lampante chi fosse.

Rimangono così, fermi, per lunghi secondi, in cui Bruno ragiona su come può convincerlo.
Forse è troppo testardo, probabilmente dovrebbe lasciar perdere, ma non ha mai sentito suonare Roberto ed è curioso e, scoperta la sua restia, vuole aiutarlo a liberarsi di quel blocco. Un mattoncino alla volta, un'"esibizione" alla volta.

E allora viene di getto proporre: <E se ti accompagnassi con il mio flauto? Se vai male, ci sono io a controbilanciare e a fare avere tutti gli occhi su di me e se sbaglio io risulterai più bravo tu e nessuno ti giudicherà male.>

<Nessuno nessuno la vedo dura...> commenta Roberto, ma abbozza un sorriso, anche se un po' teso.
<Non capisco perché ci tieni tanto.> aggiunge <Ma ci posso provare. Forse in compagnia è meglio. Non mi è capitato tante volte di suonare in coppia o con un quartetto, figurarsi un'orchestra. Non sarà troppo complesso, soprattutto senza preparazione?>

<Tu suona quel che vuoi, io ti seguirò improvvisando.>
<Sicuro? Non voglio affaticarti.>
<Te l'ho chiesto io.> e abbozza un sorriso, perché secondo il trentino è impossibile rimanere freddi e distaccati davanti alla premura che quell'uomo dimostra sempre di avere per chiunque, anche chi non la merita (tipo se stesso).

Roberto ricambia il sorriso con uno altrettanto piccolo ma estremamente sincero e dolce. Si gira verso il pianoforte e avanza incerto, a passetti, e a Bruno ricorda un passerotto che saltella nella neve, in una radura silenziosa e spoglia.
Anche se lì non c'è neve, né silenzio né è spoglio.

Roberto raggiunge il pianoforte e si siede. Prende respiri calcolati mentre mette a posto il sedile e controlla che il pianoforte non sia stonato e già qualcuno lo guarda curioso.

Allora Bruno tira fuori il flauto dalla sua custodia e, controllando sia pulito, fa una scala veloce per concentrare gli occhi su di lui.

S'interrompe, guarda Roberto quando nota che smette di premere tasti e chiede: <Pronto?>
Roberto prende un profondo respiro, annuisce, e comincia a suonare.

È un brano indubbiamente classico, anche se non ne conosce il nome (o non lo ricorda), ma è una melodia lenta, quasi da ninna nanna.
Qualcosa con cui confortare qualcuno in una notte piena di stelle e con la luna piena che accarezza il volto.
Con ogni probabilità, Roberto sta provando a confortarsi.

Al trentino non sfugge però la rigidità delle spalle altrui, né come tutti gli occhi sono sull'amico, quindi gli tocca fare ciò che ha promesso, anche se adorerebbe ascoltare Roberto suonare.

Emula la melodia con una chiave musicale più alta, contrastando le note più basse e calme del pianoforte con le sue più squillanti, ma dando insieme anche più potenza a tali note basse.
E, se chiudesse gli occhi, riuscirebbe ad immaginare che in quella notte con stelle e la luna risplendente ci sono due che ridono mentre si fanno confidenze in un campo fuori città, lontano da sguardi indiscreti.

Come sarebbe bello vivere qualcosa del genere con Roberto. Come sarebbe bello vivere senza giudizio, se non quello impassibile e distaccato della natura, che paradossalmente dimostra più umanità e dolcezza della società.

Sembra passato solo qualche istante quando la melodia di Roberto s'interrompe e Bruno, a malincuore, suona qualche ultima nota più dolce e bassa delle altre e conclude anche lui.

E uno scroscio di applausi li accoglie.
Bruno si gira verso Roberto, raggiante nonostante la bocca sia ancora tenuta in una linea retta. E tale linea s'incurva all'insù nell'ammirare l'espressione stupita e insieme gioiosa del piemontese, gli occhi vagamente lucidi e le orecchie tinte rosse nell'imbarazzo.

Si alza mentre gli applausi iniziano a scemare e sussurra: <Grazie.>
Basta il labiale al trentino, che s'avvicina d'un passo, prima che il piemontese lo raggiunga in due grandi falcate e lo abbracci stretto, anche se per pochi secondi.

Bruno cerca di nascondere un sorriso inebetito con poco successo.
Vuole risentirlo suonare.
Ma senza pubblico.
E vuole lodarlo con tutto l'amore che ha in corpo e che sta traboccando.
Purtroppo è solo un'illusione, come quella che gli ha evocato la dolce melodia di Roberto.


N/A: allora, l'idea da cui sono partita per questo capitolo è letteralmente (e non scherzo) "Bruno e Roberto fanno i cutie patootie"... oltre al cringe della frase, spero di esserci riuscita!

Li adoro, anche se rimarranno single almeno quanto me.

E P.S.: questo è l'ultimo capitolo su questa storia, se per la prossima settimana non mi dimentico!
Ovviamente avviso quando pubblico sulla "nuova", giusto per avere altri 200 capitoli dove postare stronzate.

Ciao ciao~!

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