122. «Cose da grandi. Capirai.»

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N/A: per chi lo avesse dimenticato:
Matteo= Mario.

Inoltre metto un piccolo disclaimer, perché non si sa mai. Si parlerà di pedofilia e traumi inerenti la religione. Se questi temi vi disturbano, non siete obbligati a leggere il capitolo.

Detto questo, buona lettura a chi vuole i traumi.


Matteo sta giocando in un cortiletto da cui può ammirare la vicina, grande e lussuosa chiesa nel centro di Roma. È governata dal vescovo della città, il quale abita nella altrettanto sfavillante abitazione in cui sta giocando. O, almeno, nel suo giardino.

È un uomo potente, da quello che la piccola regione ha capito ascoltando Pietro, che gli ha intimato di restare fuori e non combinare danni.

Anche perché, sempre da quello dettogli dal suo padre adottivo e spirituale, ha molte amicizie nel mondo dei cardinali e può aiutare a favorire uno o un altro candidato come papa.

Matteo ha evocato la sua fidata ed amata lupa, affaticandosi nel processo. È dovuto restare seduto nell'erba per due ave marie o più buone per recuperare le forze.

Intanto la sua fidata amica gli è rimasta accanto, leccandolo sulla mano con dolcezza. Una volta ripreso, all'inizio si è divertito giocando a rincorrersi o vedere chi era più veloce.

Ovviamente la lupa lo ha battuto senza sforzo, ma lui non si è arrabbiato. L'importante è divertirsi! E poi ritiene sia una vittora quando strappa dei piccoli fiorellini e riesce a incastrarglieli nel pelo, vicino le orecchie.

Lei emette un verso indispettito, scuotendo il muso finché non toglie i fiorellini. Solo allora assalta Matteo e lo riempie di leccate in faccia come vendetta.

Finalmente stancatosi un pochino, sbadiglia e si appoggia alla lupa. Questa si china un pochino e lo lascia scivolare meglio sulla sua schiena.

Il laziale si aggrappa al collo dell'amato animale, attento a non farle del male, e si mette steso sopra la sua schiena. Affonda la guancia nel lungo e morbido pelo, sbadigliando.

Il calore del corpo di lei si irradia in ogni suo angolo e lo conforta. La lupa fa un giro del perimetro del giardino, per poi chinarsi e depositarlo a terra.

Matteo la lascia andare, fissandola triste. Questa subito sfrega il muso contro la sua guancia e si stende accanto a lui, quasi avvolgendolo in un abbraccio tutto suo.

Dorme un po' e, quando si sveglia, la lupa lo osserva. Gli dà un'ultima leccata e sparisce. Gli dispiace, ma sa che non può durare in eterno.

Si stiracchia e si rialza, guardandosi intorno. Ancora nessuna traccia di Pietro. Incrocia le braccia e sbuffa al vuoto: lui voleva tornare a casa!

La porta che dà sul guardino si apre ed esce un anziano signore vestito di tutto punto. I dettagli rifiniti in oro brillano nella luce del sole che splende sereno su quel quadrato di terra.

<Chi sei?> chiede l'umano, avvicinandosi, osservando con attenzione il bambino.
Matteo, ignaro della natura di quello sguardo, si avvicina. Fa un piccolo inchino, come Pietro gli ha insegnato, e si presenta: <Mi chiamo Matteo, sono sotto le cure di Pietro Clemente.>

<Oh, capisco!> annuisce l'uomo con un sorriso affabile. Si china alla sua altezza con lentezza.
Lo fissa negli occhietti vispi e chiede: <Quanti anni hai, Matteo?>

Il piccolino riflette: non può dire la sua reale età, Pietro glielo ha vietato, quindi decreta di dire l'età che ha concordato con il suo tutore.

Alza una mano e la apre, mostrando tutte le cinque dita.
<Uh, cinque anni! Che grande che sei!> si complimenta l'uomo, accarezzandogli i capelli.

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